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Automotive, il ministro Urso e la grana della transizione ecologica

A margine di un convegno a Bergamo, il ministro dell'Industria annuncia che dal 5 dicembre riaprirà il tavolo sulla transizione ecologica dell'automotive. Secondo i sindacati, il 35% dei posti di lavoro del settore potrebbe svanire. Se la Lombardia si allea con altre regioni europee per proporre soluzioni razionali, il rischio di uno scontro ideologico è ben presente

Automotive, il ministro Urso e la grana della transizione ecologica

Come se questo autunno non fosse già abbastanza caldo, nell’agenda del governo rientra un tema assai spinoso: la controversa questione della transizione ecologica del settore automotive. Il tavolo tra ministero, parti sociali e imprenditori sarà riconvocato il prossimo 5 dicembre, così da mettere a punto la strategia migliore per affrontare questa fase critica per l’industria dell’automobile e l’enorme settore dell’indotto, punta di lancia dell’industria italiana. Ad annunciarlo il ministro dell’Industria e del made in Italy Adolfo Urso al Festival Città Impresa che si sta tenendo in questi giorni a Bergamo. Il tavolo si incontrerà ogni 3 mesi, impegno non indifferente per un ministero impegnato ad affrontare oltre 70 crisi aziendali ma che Urso considera “strategico” per un paese che deve molto all’automobile. Senza la motorizzazione di massa, la costruzione delle autostrade e l’indipendenza energetica portata avanti dall’ENI di Mattei, il boom economico che trasformò per sempre l’Italia non sarebbe mai successo. Anche se non così fondamentale come negli anni ‘60 e ‘70, le conseguenze di una possibile crisi dovuta all’abbandono dei motori endotermici entro il 2035, scelta imposta dall’Europa che molti analisti descrivono come sconsiderata ed irrealistica, potrebbero essere devastanti, specialmente per le aziende medio-piccole che costituiscono il grosso dell’indotto. Il ministro ha descritto come, nelle sue intenzioni, la strategia ottimale dovrà procedere su tre binari: una politica comune con i grandi paesi produttori europei, un confronto schietto con Stellantis e linea dura nei confronti di Cina e India, paesi che, pur contribuendo al grosso delle emissioni di CO2 in atmosfera, stanno facendo molto poco per limitarle. Con gli Stati Uniti, i due giganti asiatici costituiscono il 50% delle emissioni globali mentre l’intera Unione Europea è solo l’8%. Il monito di Urso è chiaro: “La responsabilità non è solo nostra ma soprattutto degli altri”. Ancora una volta la soluzione non può che venire da una politica condivisa a livello continentale. Secondo il ministro, “l'Europa deve essere avanguardia nella transizione ma non può fare da sola”. Per convincere i paesi più recalcitranti ad adottare standard ecologici più stringenti, Urso non esclude l’uso di “dazi compensativi ambientali”.

Lombardia in prima linea

L’incubo di tutti è che un cambiamento così repentino finisca con avere pesanti conseguenze sui siti produttivi in Italia, già deficitari in quanto a produttività ed i livelli occupazionali, che negli ultimi decenni hanno visto un calo impressionante. Se Urso si dice convinto che gli investimenti nelle tecnologie del futuro saranno in grado di consentirne la conversione alla produzione di macchine elettriche, molti esperti sono scettici. Partiamo con anni di ritardo nei confronti della Cina, che non solo ha un quasi monopolio sulla produzione di batterie ma si è anche accaparrata le terre rare necessarie per la loro costruzione. Il rischio che questa transizione a rotta di collo si trasformi in un autogol epocale è ben presente nelle menti di chi, a partire dalle regioni del Nord Italia, avrebbe molto da perdere se le cose andassero male. Per evitare il peggio, è scesa da tempo in campo la Lombardia, regione che con 1000 aziende da 20 miliardi di fatturato e 50mila occupati non può ignorare questi rischi. Qualche giorno fa a Lipsia, l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Guido Guidesi, aveva infatti firmato un accordo con altre regioni europee per fare squadra e concordare il da farsi. La Lombardia sarà la capofila di questa alleanza, la cui prima missione sarà quella di evitare l’incubo di tutti, un crollo brusco della produzione che metta a rischio la tenuta dell’intero sistema automotive. La giunta regionale non è nuova ad iniziative nel settore: lo scorso 29 marzo aveva presentato alla Conferenza delle Regioni e alla Commissione Europea un manifesto, steso coi rappresentanti di categoria, con linee guida tese a razionalizzare la transizione, con idee e proposte concrete. Guidesi si dice convinto che mettere tutte le uova nel cestino dell’elettrico potrebbe essere pericoloso. Sarebbe opportuno dare più spazio ai combustibili rinnovabili ed a basso contenuto carbonico, che potrebbero abbassare drasticamente l’impatto dei motori termici, rendendone quindi meno urgente l’eliminazione.

Sindacati: "A rischio il 35% dei posti di lavoro"

A ricordare quanto la decisione dell’Europa di vietare la vendita dei motori termici in poco più di 10 anni potrebbe essere devastante, arriva l’ennesimo allarme dei sindacati europei. È infatti di queste ore la dichiarazione di Luc Triangle, segretario generale del sindacato europeo IndustriAll, secondo il quale più di un lavoratore su tre nell’automotive potrebbe presto trovarsi disoccupato. Nel corso di una riunione straordinaria del Comitato Automotive il sindacalista ha invitato tutti a mettere a punto una “strategia industriale europea per mantenere e creare buoni posti di lavoro, decarbonizzando al contempo il settore”. La trasformazione radicale, senza precedenti, del settore potrebbe non solo costare milioni di posti di lavoro ma aumentare anche la pressione sui lavoratori rimasti, con danni sociali devastanti, specialmente nelle piccole e medie imprese che gestiscono il grosso della catena di fornitura. Se il sindacalista belga pone molta attenzione al tema dell’equità, invitando a discutere “strategie negoziate che anticipino meglio i cambiamenti in corso”, la questione rischia di scadere in una lotta ideologica, dove ragionare in termini pacati potrebbe essere impossibile. Da un lato della barricata gli ecologisti massimalisti, quelli alla Greta Thunberg, che bloccano le tangenziali e per i quali nessuna soluzione è abbastanza estrema. Dall’altra chi si permette di far notare come interventi così drastici, che rischiano di costare milioni di posti di lavoro e rendere la mobilità personale un sogno per la classe medio-bassa nel giro di pochi anni, avranno conseguenze quasi insignificanti a livello planetario. Che senso avrebbe costringere un intero continente a smantellare un’industria nella quale ha accumulato un capitale straordinario di know how, quando allo stesso tempo giganti come Cina e India costruiscono centrali a carbone come se non ci fosse un domani? Il problema è quindi molto serio ed il rischio che diventi un dialogo tra sordi è ben presente. Visto che in gioco c’è il futuro di milioni di famiglie di lavoratori dell’auto, speriamo che si riesca finalmente ad affrontare la questione in maniera razionale e pacata. Una cosa è certa: non invidiamo di sicuro il ministro Urso.

Delle tante gatte da pelare che si ritrova sul tavolo, questa potrebbe essere la più intrattabile.

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