Autonomi sgomberati. Dai compagni

QUANDO REGNA L’ANARCHIA Lo strano caso di via Valvassori Peroni. Epurato dai duri e puri, il collettivo torna alla carica per cacciarli dal palazzo occupato. Lezione per il Comune

Autonomi sgomberati. Dai compagni

Che c’entra lo strano caso di via Valvassori Peroni con la filosofia dell’assessore Lucia Castellano? C’entra eccome. Non è solo un’incredibile gaffe politica, infatti, quella improvvida sortita dell’assessore al Demanio, che megafono alla mano in piazza Della Scala ha praticamente legalizzato le occupazioni abusive delle case popolari in caso di «bisogno». È anche un’aberrazione dal punto di vista proprio di quella equità che l’assessore pretenderebbe di tutelare. Il perché lo si può capire seguendo quel che sta accadendo. Lì, a Lambrate, nella strada che corre dietro alla stazione ferroviaria, a maggio gli anarchici si sono presi una palazzina comunale, con annesso magazzino e verde, in una zona tranquilla vicina a scuole e impianti sportivi. Spazio black-out, lo chiamano così, e con tanto di lucchetti e catene hanno «privatizzato» a loro uso e consumo un bene pubblico (altro che comunisti). Ovviamente l’operazione è stata ammantata di una serie di motivazioni speudo-politiche, nel tipico vaniloquio ideologico farcito di parole chiave come «socialità», «spazi», «aggregazione» e via farneticando. Nella palazzina occupata organizzano feste, rave e altri appuntamenti molesti per la gente del quartiere, che non a caso ha cominciato e protestare e raccogliere firme per lo sgombero.
Un film già visto? Forse, anche se sarebbe bene non assuefarsi. Il problema è che alla solita storia di occupazioni e abusi ai danni della proprietà pubblica e della gente normale si è aggiunta una vicenda gustosissima e istruttiva: è iniziata una guerra interna al movimento. Gli occupanti se le stanno dando di santa ragione. Fra loro. Per stabilire chi deve tenersi il «bottino» pubblico. È successo che qualche antagonista, evidentemente più antagonista degli altri, ha preso possesso dei locali e ci vive, passandoci notte e giorno. Gli altri si sono ribellati. E la cosa è finita male. Tant’è che su Indymedia Lombardia, il sito dei centri sociali, è comparso un messaggio dei compagni minacciati dal potenziale sgombero - un drappello di autonomi che rivendicano il «reale bisogno di una casa in cui vivere». «Ci siamo trovati - scrivono - nell’imbarazzante situazione di doverci difendere da una cinquantina di compagni che chiedevano, caschi alla mano, la nostra immediata uscita». Si lamentano dello scontro, di metodi inaccettabili, e - udite udite - avvertono che non è la «violenza la chiave per risolvere contrasti e incomprensioni».


Vorremmo chiedere: in questo caso che si fa, assessore Castellano? Chi è il titolare di un «diritto a occupare» giustificato da una sorta di stato di necessità sociale? Sono i primi occupanti o questi bisognosi compagni che chiedono un posto in cui dormire ma intanto avvertono «non ci fa paura nessuno», al grido di «la casa è di chi la occupa»? E se la stessa cosa accadesse in una casa popolare? Quale famiglia bisognosa ha diritto di occupare? Chi lo stabilisce e con quali criteri, se non quelli previsti dalla legge? La verità, l’assessore dovrebbe saperlo, è che le regole sono l’unico sistema inventato finora per tutelare i deboli. E nell’assenza di regole certe e scritte chi ha la meglio sono i più prepotenti, non i più deboli.

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