Gli autori democratici sdegnati ma contenti di stare in Mondadori

Non c’è niente da fare. Una parte, piccola ma molto visibile, degli scrittori italiani è affetta da un eterno rovello. È giusto pubblicare per il gruppo Mondadori? Un’uscita con Einaudi si può considerare collusione col nemico berlusconiano? Un romanzo nella collana «Strade Blu» infanga il proprio pedigree democratico? Un saggio negli «Struzzi» contribuisce involontariamente a rafforzare il «regime»? Una raccolta di poesie nella collana «bianca» di Einaudi dovrebbe causare almeno cinque minuti di rimorso?
La discussione è grottesca. Questi pensosi autori, così preoccupati di far sapere a tutti come votano o non votano, sono infatti la prova ambulante dell’inesistenza del «regime» nonostante firmino in massa gli appelli a favore della libertà di stampa, neanche vivessero a Cuba. Pur facendo spesso e volentieri professione di antiberlusconismo, lavorano con Mondadori, un gruppo che agisce secondo logiche di mercato. Logiche che, al di là del caso in questione, garantiscono la libertà di tutti. (Ma questo discorso non fa presa sull’anima dubbiosa dello scrittore tormentato. Il mercato, di solito, è visto come il fumo negli occhi e ritenuto pericoloso, un trucco dei padroni per sfruttare i «deboli»).
Così il day after la polemica su Gomorra e dintorni diventa subito occasione per tornare al solito dilemma: firmare o no per Mondadori? Invitare o no il collega Saviano a levare le tende e trasferirsi altrove? E nel caso poi il bestsellerista traslocasse davvero, seguirlo o continuare a lottare «per cambiare il sistema dall’interno»? Ad esempio, su Repubblica di ieri, dopo aver espresso «profondo disagio» da «autrice Einaudi», Benedetta Tobagi si interrogava sulle «tensioni striscianti» da mesi, sul «caso Saramago», sul modo più corretto di «dimostrare il mio impegno». Conclusione: «Però stare dentro Einaudi per me ha voluto dire essere supportata per scrivere al meglio il libro di una vita, e poi vederlo sostenuto, e diffuso. Ho in mente l’intelligenza, la professionalità, la sensibilità di tanti in casa editrice. L’esperienza di molti autori, non solo Saviano, che hanno potuto esprimersi liberamente, crescere». Sorge spontanea una domanda: scusa, ma allora dov’è il problema?
Nicola Lagioia si pone le stesse questioni sul sito Nazione indiana: dopo aver specificato di sperare «che Berlusconi, per il bene della collettività, sia colpito dalla più incruenta delle malattie invalidanti il tempo necessario per essere spazzato via dall’agone politico» e aver rivolto il gentile augurio anche a Prodi e D’Alema, l’«autore Einaudi» spiega perché non se ne andrà dalla casa editrice torinese. Innanzi tutto «il 90 per cento degli autori che pubblicano per Einaudi sono antiberlusconiani» e «se tutti decidessero di cambiare casa editrice, verrebbe distrutto un importante patrimonio culturale del nostro paese destinato altrimenti a sopravvivere all’attuale presidente del Consiglio». Un divertente (si fa per dire) delirio. Questo invece il giudizio sull’Einaudi: «Mi è sembrata la casa editrice (tra quelle che hanno mostrato di interessarsi al mio lavoro) che poteva supportarmi meglio».

Anche in questo caso sorge spontanea una domanda: scusa, ma allora dov’è il problema?
Invece di arrampicarsi sugli specchi, forse sarebbe meglio ammettere con tutta semplicità: cari lettori, in Italia vige la libertà d’espressione e non c’è alcun regime, noi ne siamo la testimonianza vivente, lavoriamo volentieri con le case editrici della famiglia Berlusconi perché garantiscono professionalità e supporto nella diffusione. Ma questo comporterebbe la perdita dell’aura di sinceri progressisti, utile da spendere in società.

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