Autori e registi: «Facciamo pressing sui politici»

da Roma

È un’incerta mattina di maggio, ma sono certi del fatto loro gli autori più brillanti del nostro cinema, mentre invocano regole certe, trasparenza e pluralismo di voci, presentando, in una stanzetta della libreria trasteverina Bibli, la loro neonata Costituente del cinema e della tivù. Una Costituente assembleare come ai tempi della caduta del fascismo, quando in Italia da più parti si chiedeva migliore difesa contro gli attentati alla libertà, per affrontare, già domani, sul palco dell’Ambra Jovinelli, il ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli e il presentatore della nuova legge sul cinema Andrea Colasio (deputato della Margherita) impegnati a sanare la crisi strutturale del cinema italiano.
Così Carlo Verdone e Cristina Comencini, con sua sorella Francesca, Paolo Virzì e Daniele Luchetti, per citare solamente i più noti tra i convenuti, ieri hanno ribadito, con forza, i propri attacchi all’ormai guasto sistema che regola le attività cinematografiche e audiovisive. Per la prima volta, dopo tanti anni di silenzio («un silenzio colpevole, magari sono pigro, perché siciliano», ha ammesso Roberto Andò) i nostri autori hanno ritrovato lo spirito di corpo.
«Come autori siamo preoccupati dal silenzio, seguito alle dimissioni del direttore generale di Rai Cinema, Carlo Macchitella», vibra lo sceneggiatore Stefano Rulli, raccontando da dove è partita, in realtà, l’idea di un gruppo di pressione artistico. «Siamo rimasti sotto choc, venendo a sapere di tanta corruzione e ora ci chiediamo: in quale direzione vuole andare la legge sul cinema?».
Scopo di questa sorta di lobby cinematografica è quello di «ottenere trasparenza e fissare dei paletti, parlando con i politici», afferma Francesca Comencini, seduta accanto a Cristina: entrambe recano segni di tensione sul viso (hanno perso da poco il padre Luigi), ma sembrano ringiovanite dall’atmosfera di ragazzesco vigore contestatario, che riporta giornalisti e cineasti all’atmosfera ribollente degli Anni Settanta. «Siamo in una specie di dopoguerra bianco, ma la nostra generazione lavora molto. E vuol dimostrare che fare un film non significa chiedere un favore, col cappello in mano», puntualizza la Comencini senior, parlando di «recupero dell’umiltà artigianale».
Più sanguigno, Verdone proclama: «Assistito il nostro cinema? Sostenere questo è sciocco e domani ribalterò cifre e dati: rovesciamo le carte e te saluto! Basta col degrado culturale, dove la quantità fa premio sulla qualità. E sono quello che meno ha problemi: il mio contributo è per le giovani generazioni». E cita «il senso di responsabilità verso il Paese» anche Virzì, reduce dalla soddisfazione personale a New York, dove il suo film N. Napoleone ha riscosso successo di pubblico e di critica.

Desideroso di «un’etica pubblica e di una sana libertà d’espressione», il cineasta livornese ha riconosciuto di non essersi potuto sottrarre al «richiamo della foresta, dopo la colpevole latitanza di noi registi, vuoi per poltroneria, vuoi per sciatteria». Ma è arrivato il momento d’un cambiamento: via dalla politica, insomma. Che, poi, è un sogno ricorrente.

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