Autostrade, il governo cerca un’intesa

Il partner spagnolo: «Se fossimo stati di Helsinki o Parigi non saremmo stati frenati»

Paolo Stefanato

da Milano

Continua l’estenuante braccio di ferro tra governo e Autostrade sulla fusione di quest’ultima con la spagnola Abertis, anche se nella serata di ieri il vicepresidente del Consiglio Massimo D’Alema ha detto che si lavora a un accordo. Ieri il consiglio della società italiana ha preso in esame il contenuto dell’articolo 12 del collegato alla legge finanziaria, e ha affermato che si tratta di una «misura di blocco» alla fusione con Abertis; ha deliberato, di conseguenza «di intraprendere le eventuali e opportune azioni risarcitorie». Nei confronti del governo, è sottinteso. In precedenza, anche Schemaventotto (Benetton), azionista di controllo di Autostrade, aveva ricevuto dai legali un parere per agire con una richiesta di risarcimento contro il governo e contro l’Anas per la modifica degli accordi di concessione che, se confermata, rischia di far saltare la fusione con gli spagnoli di Abertis.
Il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ha affermato che anche se la prossima settimana l’Unione europea avvierà la procedura d’infrazione contro l’Italia per la fusione Autostrade-Abertis, il governo non farà alcun passo indietro per modificare l’articolo 12: «Ci mancherebbe altro! Una cosa è certa - ha detto -: quest’articolo 12 è un articolo che non cambia le regole del gioco pregresse, ma garantisce maggiori controlli, maggiore trasparenza e maggiore certezza di realizzazione delle infrastrutture». Ma acqua sul fuoco è stata gettata in serata dal vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Massimo D’Alema: «È una questione delicata sulla quale spero si arrivi a un accordo». «Sono favorevole a un accordo. Si sta lavorando per arrivare a un accordo». Il governo, con l’articolo 12 del decreto fiscale collegato alla legge finanziaria, ha riscritto le regole per le concessionarie e prevede che venga adottata una nuova convezione entro un anno, pena la decadenza degli accordi vigenti. Autostrade e Abertis hanno contestato questo decreto e Bruxelles, per iniziativa del commissario al mercato interno Charlie McCreevy, dovrebbe avviare martedì una procedura d’infrazione per ostacolo alla libera circolazione dei capitali.
Frattanto, l’Anas è in attesa di una risposta da Autostrade per sapere se la società intende riattivare la procedura di autorizzazione alla fusione con Abertis, dopo i cambiamenti normativi previsti dalla Finanziaria. Lo ha detto il presidente, Pietro Ciucci, spiegando che «abbiamo chiesto con una lettera se erano interessati a riattivare la procedura. Non abbiamo ricevuto risposta, siamo fermi». Ciucci ha anche spiegato che, dagli incontri con Bruxelles, «è emerso chiaramente che la commissaria Neelie Kroes riconosce il diritto e dovere di Anas e del governo a una procedura di autorizzazione e approvazione». E d’altronde, da parte del governo, «c’è stata contemporaneamente la richiesta di un incontro anche con McCreevy che è stata reiterata credo questi giorni».
Ma l’operazione va avanti. Ieri la società presieduta da Gian Maria Gros-Pietro ha sottoscritto con Ubm, Merrill Lynch, Capitalia e Goldman Sachs un finanziamento di 2,144 miliardi di euro destinato a essere utilizzato nel caso di successo dell’operazione per il pagamento del dividendo straordinario e per ridurre una parte del debito, oltre che per garantire una disponibilità di cassa al futuro gruppo. Sempre ieri, il consiglio di amministrazione di Autostrade - il quale ha approvato i conti al 30 settembre, che hanno evidenziato nei nove mesi un calo dell’utile netto del 18,7% - ha convocato per il 12 e il 13 dicembre, in prima e in seconda convocazione, l’assemblea che dovrà deliberare, appunto, sulla distribuzione del dividendo straordinario, pari a 3,75 euro per azione.
Infine, una nota di colore. L’amministratore delegato di Abertis, Salvador Alemany, ha dichiarato in un’intervista che la fusione di Autostrade non avrebbe probabilmente incontrato ostacoli se il partner non fosse stato spagnolo. «Se (il quartier generale di Abertis) non fosse stato a Barcellona, ma, diciamo, a Helsinki, e il management fosse stato francese invece che spagnolo, non avremmo avuto così tanti problemi». E ha aggiunto: «Se non ci fosse stato il nostro amore per il rischio avremmo già lasciato perdere». Ha replicato Di Pietro: «Alemany non può averlo detto, sarebbe una caduta di stile».

«Le questioni che noi poniamo non riguardano il fatto che la fusione è con una società spagnola o con una società basata a Helsinki. Il problema deriva dal sistema delle concessioni, che è da rivedere per le manchevolezze degli anni passati».

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