Avati ci regala "Un Natale a casa Croce", omaggio a don Benedetto

Dal pranzo in famiglia del 1952 alla vita del filosofo e storico. Un ritratto anche della sua Italia

Avati ci regala "Un Natale a casa Croce", omaggio a don Benedetto
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da Torino

Benedetta aveva nove anni a dicembre del 1951. Oggi ne ha 82 ed è la discendente diretta più vicina al nonno, Benedetto Croce. Ed è proprio il volto di quella bimba che scatta in piedi per invitarci a tavola con il professore, in quel Natale di tanto tempo fa. L'ultimo. A novembre del '52, mentre leggeva Petrarca, il filosofo avrebbe reclinato il capo in un addio silenzioso e sgomento.

Pupi Avati comincia da quel pranzo di famiglia per raccontare il senatore. Il politico. Lo storico. Il letterato. Il genio. Perché Croce (nella foto) fu tutto questo insieme e forse molto di più. Motivo che rende difficilissimo scolpirlo per immagini in un documentario. Il regista bolognese punta tutte le carte sull'aspetto umano e al Torino film festival offre il quadro sfaccettato di un uomo e una famiglia che hanno sofferto, guardandosi indietro. Da quel Natale del '51. Uno come tanti, forse. Uno come tutti. E la festa più dolce è rimasta nel titolo, Un Natale a casa Croce, che rappresenta l'omaggio del festival alla letteratura italiana, affiancato a quello di Cesare Pavese nel Mestiere di vivere di Giovanna Gagliardo.

A differenza di quest'ultimo, il lavoro su Croce è una scommessa troppo grande perché non basterebbero ore e ore per esaurire l'argomento. Ne viene fuori un tributo di cuore che non trascura nulla. L'amicizia con Giovanni Gentile e i rapporti difficoltosi con il regime di Mussolini. Il ruolo politico di senatore, ministro e fondatore del partito liberale con Luigi Einaudi. L'accademico che ha teorizzato di estetica e storiografia. Il giovane che ha perso tutto nel terremoto di Casamicciola. I due amori devoti con Angelina Zampanelli, morta prematuramente e mai sposata, e con la moglie Adele Rossi, dalla quale ebbe cinque figli. I tormenti religiosi e i dubbi chiusi da quel Perché non possiamo non dirci cattolici. Libertà e poesia, più parenti che in apparenza.

È la dolcezza dell'intimità a restare una delle cifre distintive di questo docufilm, attraversato da tocchi di finzione e immagini di archivio, mescolate alla guida di Benedetta che prende per mano lo spettatore e lo lascia entrare a Palazzo Filomarino, dove il filosofo visse e dove oggi c'è la sua Fondazione e la biblioteca.

È un ricordo patinato, quello di Avati, ma ha un merito. Aver restituito all'Italia un volto da pantheon oggi colpevolmente vicino all'oblio.

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