Cultura e Spettacoli

Con Avati l’amore rinasce dalle rovine

La dedica finale «a tutti i bambini che fecero una grande luce», quelli esplosi sulle mine della guerra cui si parla già nella prima scena, di per sé rende insolito e lancinante La seconda notte di nozze di Pupi Avati. Dei tre film italiani in concorso all'ultima Mostra di Venezia, La seconda notte di nozze è stato l'unico di cui non vergognarsi; l’unico dove affiorino i dolori di un popolo, non gli afrori d’una classe. Sarebbe opportuno che lo capisse anche chi ha sprecato tempo e soldi per La bestia nel cuore e I giorni dell’abbandono, attirato da perversioni e convulsioni.
Scelta e direzione degli attori sono felici. Il tipico ruolo avatiano del brav’uomo, brutto e segnato dalla vita, passa finalmente dall’estenuato Carlo Delle Piane ad Antonio Albanese, nel ruolo dell’improvvisato artificiere nella Puglia del 1947; con una vedova emiliana alla deriva (Katia Ricciarelli, in stato di grazia), avrà un matrimonio non consumato, ma sereno.
Nel ruolo del figlio della donna, il collaudato avatiano Neri Marcoré inquieta per naturalezza come ladro, ma lascia al suo sordido personaggio, prosseneta della madre, quel minimo di simpatia che lo rende verosimile, dunque insidioso. Poi ci sono le grifagne zie, impersonate da Angela Luce e Marisa Merlini, che non hanno accento pugliese (meglio: Lino Banfi l’ha logorato), ma convincono egualmente.
Avati è più un regista letterario (suo è il romanzo che ispira il film) che un regista politico; se vuol fare un’osservazione politica, ricorre alla magia: così, quando l’artificiere s’innamora, trova il gusto della vita e perde il gusto della morte, cioè di disinnescare le mine. L'ultima ha il buon gusto di scoppiare senza danni, segno che lo stellone d’Italia ricomincia splendere.
Ancora una volta il periodo guerra-dopoguerra ispira il meglio al nostro cinema, che a film girati o ambientati allora deve Oscar e/o grandi incassi.

Agli stranieri piace, almeno al cinema, vedere e rivedere l’Italia in rovina, ma vitale; ora le rovine non ci sono quasi più, ma non c’è più nemmeno la vitalità.

LA SECONDA NOTTE DI NOZZE di Pupi Avati (Italia, 2005), con Antonio Albanese, Katia Ricciarelli, 103 minuti

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