Avvelenatori di pozzi

Hanno fatto come i ragazzini che l’ultimo giorno di scuola, prima di uscire dall’aula, si girano e tirano sul pavimento una fialetta piena di liquido puzzolente. Solo che Vincenzo Visco e Lidia Turco scolaretti non lo sono più da un pezzo: ora fanno (anzi, per fortuna degli italiani, ormai hanno fatto) i ministri e le loro «fialette» rischiano di avere conseguenze ben più serie del disgusto o della nausea.
Il primo ha pensato di chiudere la sua permanenza al dicastero dell’Economia dando sfogo alla sua vera passione: le tasse. Non potendone più mettere di nuove, ha ripiegato sulle vecchie e ha buttato in rete, ossia in piazza, le dichiarazioni dei redditi 2005 di tutti gli italiani. Par di vederlo stropicciarsi le mani al pensiero di quel che sarebbe successo: gelosie, ricatti, delazioni, amicizie che si rompono, rapporti di buon vicinato che vanno a quel paese, vecchi rancori che sfociano in nuove rappresaglie.
Già, perché un conto è divulgare i guadagni di personaggi pubblici - politici, sportivi o uomini di spettacolo che siano - abituati a stare sotto i riflettori e a rendere conto ai cittadini, i loro veri «datori di lavoro», praticamente di ogni aspetto della loro vita. Un altro è compiere la stessa operazione su chi ha fatto scelte diverse e conduce un’esistenza «privata», che non prevede di dare in pasto a tutti gli affari propri, anche se in quegli affari non c’è nulla di illecito. La differenza è ovvia per tutti, tranne che per Visco, il quale ama ribaltare gli schemi comuni: meno di due anni fa perseguiva chi andava a curiosare tra i proventi di Prodi, oggi sollecita l’istinto voyeuristico che c’è in ognuno di noi, incurante delle conseguenze, con la perfidia di chi ritiene che in Italia non ci siano contribuenti onesti ma solo evasori ancora da scoprire e quindi si possa tranquillamente buttare fango nel ventilatore. Tanto, a pulire non dovrà certo pensarci lui.
Vecchia scuola Botteghe Oscure. Lezione perfettamente appresa anche dalla compagna Livia Turco. La quale, per la verità, ha fatto quasi di peggio. Prima di sgomberare l’ufficio del ministero della Salute, come gli hanno chiesto senza appello 17 milioni di italiani, ha firmato una cosuccia che, semplicemente, capovolge lo spirito di una legge varata dal governo Berlusconi nel 2004 e confermata da un referendum popolare un anno dopo (ah, quella democrazia che dà tanto fastidio alla sinistra quando non collima con i suoi desideri). Era stato detto e ribadito che non si potevano fare diagnosi sull’embrione prima dell’impianto? Chi se ne frega. La ministra con la lacrima in tasca la pensa diversamente, quindi: oplà, un bel provvedimento in articulo mortis e il gioco è fatto. Con buona pace degli elettori. Del resto, quelli che non votano come dicono loro sul manifesto li definiscono «subumani» e può darsi che con un po’ di sana eugenetica in un prossimo futuro li si possa portare a un livello tale da non sbagliare, almeno, a mettere la crocetta sulla scheda elettorale.


In più c’è il sapore della vendetta, il gusto monello del bastone messo tra le ruote del governo venturo, dell’imbarazzo creato al nuovo Parlamento che dovrà sbrogliare la matassa e in particolare al neo eletto presidente della Camera, che sulla materia non era propriamente in sintonia con il suo partito. Queste sono soddisfazioni: dell’Italia, degli italiani a loro che volete che importi?
Massimo de’ Manzoni

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