Gli avvisi di garanzia non fermano il premier

Mentre gli avvisi di garanzia piovono come freccette nei dintorni del governo, Matteo Renzi infila l'elmetto per affrontare quella che i suoi definiscono «la battaglia decisiva». Quella su cui si gioca anche il futuro della legislatura.

Lavoro e giustizia stanno diventando due fronti incandescenti, e affrontarli insieme è assai rischioso, ma il premier ha tutte le intenzioni di «andare fino in fondo», costi quel che costi. Sull'articolo 18 l'esercito nemico sta schierando le sue truppe, dalla Cgil alla sinistra Pd, ed è partita la gara a diventarne generali, in una ridda di leader più o meno in disarmo che cercano un nuovo ruolo: Susanna Camusso lancia anatemi, Pier Luigi Bersani promette sfracelli in Parlamento, Sergio Cofferati riemerge dalle nebbie e il premier in privato si lascia andare a commenti che suonano più o meno così: con frontman simili nel fronte avversario, vincere è facile. Ma che lo scontro sia duro e rischioso lo sa, e per questo ieri ha deciso di rispondere subito al fuoco nemico con un video pacato nella forma ma durissimo nei contenuti. Chiaro l'intento: chi si oppone alla riforma è non solo il conservatore del vecchio che non funziona, ma anche il responsabile del disastro passato. Chiaro anche che, come assicurano i suoi Renzi abbia «ben altro per la testa» che il siluro giudiziario al babbo Tiziano. «Si tratta di una vicenda politicamente irrilevante», la liquida il presidente del Pd Matteo Orfini. In difesa parla il governatore della Toscana Enrico Rossi, ex gran nemico del premier: «Come dice la Costituzione, fino a sentenza definitiva c'è innocenza. Bisogna raffreddare questo circuito giudiziario-mediatico. Se poi ha fatto bancarotta fraudolenta ne risponderà, le colpe dei padri da un po' di tempo non ricadono più sui figli, casomai avviene il contrario».

Il capo della Procura di Genova, da cui è partito l'avviso, concede subito interviste, replica al titolo del Giornale («Io non tengo in ostaggio nessuno»), entra nel merito dell'inchiesta, esclude che il premier sia coinvolto ma fa trapelare che l'indagine si sta allargando ad altre società di famiglia. Il capo dell'Anm, Sabelli, nega le inchieste ad orologeria: «Parliamo di cose serie», taglia corto pensando probabilmente alle ferie dei magistrati.

Eppure non c'è dubbio che le Procure siano in piena attività per tornare protagoniste dello scontro anche politico. E nel Pd sono in molti a sussurrare a mezza bocca che forse non è un caso se il più fido house organ della magistratura militante, il Fatto Quotidiano , ieri ha fatto esplodere un nuovo caso che ha l'effetto di terremotare il già dissestato scenario parlamentare: dalla remota - e finora sconosciuta ai più - Procura di Isernia è spuntata la notizia di un avviso di garanzia a Donato Bruno, candidato giudice costituzionale per Forza Italia. Sul suo nome, con quello di Luciano Violante, il Parlamento è da settimane in un impasse che sta mandando in tilt tutto il calendario di Camera e Senato, mettendo a rischio il nutrito pacchetto di riforme renziane. E ora, alla vigilia delle nuove votazioni di martedì, arriva la notizia che sarebbe indagato per interesse privato nel fallimento della Itierre, di cui era il legale. Bruno reagisce con durezza allo «scoop» del Fatto : «Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia. Nella maniera più assoluta. La faccenda risale già a un anno fa, ci si può immaginare come mai esca in questo frangente». E chiede al quotidiano di precisare, pena una querela, che «non mi è stato mai notificato alcun atto giudiziario dal quale risulti una mia pretesa posizione di inquisito, mentre sono stato sentito nella diversa veste di “persona informata dei fatti”».

Forza Italia lo riconferma come candidato, nel Pd ammettono che l'ennesima rogna giudiziaria «certo non aiuta» a sbloccare la situazione, ma nega di voler cambiare cavallo: «L'avviso di garanzia - ricorda la vicesegretaria Debora Serracchiani - serve per poter fare chiarezza».

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