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Gli ayatollah attaccano Fini: «Miserabile nemico dell’Iran»

Accuse e insulti dal giornale della Guida spirituale Ali Khamenei

Guido Mattioni

Non è per nulla sbollita l’ira funesta dei leader estremisti islamici iraniani nei confronti dell’Italia e dei suoi governanti. Bruciano insomma ancora, all’ombra delle cupole e dei minareti di Teheran, l’appoggio e la solidarietà espresse in più occasioni da quasi tutte le nostre forze politiche allo Stato di Israele, minacciato di cancellazione dalle carte geografiche dal delirio verbale del neo eletto presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Tanto che ieri, a scendere sul terreno delle invettive verso il nostro Paese - e questa volta facendo nomi e cognomi - è stato un giornale locale dall’elevato “peso specifico” politico-rivoluzionario, ovvero La Repubblica islamica, quotidiano fondato dalla Guida spirituale, l’ayatollah Seyyed Ali Khamenei. A finire in maniera bipartisan nel mirino dell’organo di stampa di Teheran sono stati il nostro vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Gianfranco Fini, il suo collega di Alleanza nazionale Gustavo Selva, presidente della Commissione Esteri della Camera e il sindaco di Roma, il diessino Walter Veltroni. Tutti e tre additati come nemici dell’Iran i cui «nomi ogni musulmano deve ricordare» in quanto «esseri miserabili che vanno trattati in base alle posizioni che hanno espresso nei confronti della Repubblica islamica».
Tuttavia, l’invito a non scordarne mai i nomi non ha evitato un clamoroso errore giornalistico. Pur essendo evidente dal contesto l’intenzione di riferirsi a Fini, l’indignato (ma approssimativo) editorialista ha usato le generalità dell’ex ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini. Uno scambio d’identità scaturito sicuramente dalla successione dei due politici al vertice della Farnesina (e forse anche da una certa assonanza dei due cognomi).
Quanto agli altri due politici italiani citati nell’articolo, ovvero Selva e Veltroni, il primo vi è finito evidentemente per l’importanza e la visibilità del suo ruolo di presidente della Commissione Esteri; mentre il secondo ha pagato il prezzo di aver ospitato, come di Roma, la manifestazione pro Israele indetta dal Foglio di Giuliano Ferrara e culminata in un corteo che il 3 novembre scorso aveva portato oltre 10mila persone a sfilare sotto l’ambasciata di Teheran.
Tra i «nemici» citati dalla Repubblica Islamica, oltre ai nostri tre politici figurano esponenti dell’amministrazione Usa - il che certo non stupisce - ma anche Saeb Erekat, ministro dell’Autorità nazionale palestinese incaricato di condurre i negoziati di pace con Israele, ovvero con il «nemico da cancellare», e infine il premier turco Recep Tayyip Erdogan, fautore della modernizzazione e laicizzazione del suo Paese otre che fervente sostenitore dell’ingresso di Ankara in Europa. Più che nemici, quindi, questi ultimi due, agli occhi dei fanatici rivoluzionari islamici iraniani. Peggio, molto peggio: due autentici «traditori».
Dell’Iran e del suo potenziale nucleare si è parlato intanto ieri a Vienna, al vertice della troika europea composta da Francia, Germania e Gran Bretagna. In questa sede è stato proposto il prossimo 6 dicembre come data di avvio per i nuovi negoziati con Teheran sullo spinoso nodo del nucleare.

Negoziati che erano stati interrotti in agosto quando le autorità iraniane avevano annunciato la loro intenzione di riprendere la conversione dell’uranio.

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