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«Un’azienda su 3 continua ad assumere»

«Le mie riflessioni sul mercato del lavoro al tempo della crisi? Beh, prima di tutto, mi domando sulla base di quali dati si continui a parlare di crisi, e quando si darà un freno allo sviluppo di questa perversione negativa».
Paolo Citterio, presidente nazionale di Gdip.hrda (Associazione dei direttori delle risorse umane, un network che raggruppa oltre 2.200 direttori o dirigenti delle «human resources» di aziende con più di 250 dipendenti), smonta il teorema che vuole l’economia reale già profondamente infettata dal virus della crisi finanziaria.
«Siamo chiari: secondo le nostre rilevazioni negli ultimi mesi del 2008 il mercato del lavoro italiano ha registrato un trend di crescita decisamente inferiore alle performance segnate nel resto dell’anno. Ma, appunto, parliamo di “crescita” inferiore. Non di diminuzione. Né tanto meno di crollo».
Molti studi parlano di un presente, e soprattutto di un futuro, nero.
«Non pretendo di smentire altri centri di ricerca. Ma consideriamo il fatto che in Italia le aziende da 250 a mille dipendenti sono circa 2.700. I direttori del personale di 2.200 di queste sono nostri associati. E quello che abbiamo constatato contattandoli è che oggi siamo in un mercato in cui si è certamente assunto meno, e in alcuni casi si è anche licenziato. Ma il saldo tra posti persi e posti assegnati resta positivo».
Però i licenziamenti ci sono stati.
«Sì. Del resto è una conseguenza inevitabile della conformazione del nostro tessuto produttivo, da sempre molto legato alle performance trimestrali: i risultati nell’ultimo quarter del 2008 sono stati negativi, e i vertici delle aziende di grandi dimensioni sono molto veloci a reagire quando si devono ridurre i costi».
Cos’hanno fatto?
«Dal primo di ottobre molte realtà che avevano già messo a bilancio delle assunzioni hanno rimandato; ma nella gran parte dei casi non hanno licenziato, preferendo adottare misure alternative».
Quali?
«Alcune hanno tagliato i turni notturni. Alcune hanno chiuso per un periodo di ferie più lungo del solito. Molte hanno scelto la cassa integrazione. Ma, appunto, la stragrande maggioranza non ha licenziato».
Quali sono i numeri del fenomeno?
«Da ottobre 2008 a oggi il 27% delle aziende con più di 250 dipendenti ha continuato ad assumere, il 18% ha ridotto il personale, il restante 55% non ha variato il suo organico. Quindi più della metà dei grandi gruppi, quelli che fanno il grosso del mercato del lavoro, non ha tagliato un solo posto. E questi francamente non mi sembrano i dati di un sistema Paese in crisi».
Una previsione per il 2009?
«Direi che per un altro semestre lo stallo del mercato continuerà: ma ci sono possibilità che da settembre si assista già ai primi segnali di ripresa».
Ora come ora, chi si deve preoccupare?
«Per i giovani non vedo problemi. Chi ha una formazione universitaria tra stage, corsi all’estero e la buona dose di gavetta, alla fine un posto lo trova. Per i manager il discorso è diverso, le loro sono sempre le prime teste a cadere e, in periodi di difficoltà, i consigli di amministrazione di società importanti sanno essere spietati. E questo spesso è un errore».
Perché?
«C’è ormai una tendenza, importata dagli Usa ma subito radicatasi anche in Italia, a licenziare, nei periodi di crisi, i “vecchi e costosi” per rimpiazzarli con “giovani e economici”. Ma così facendo spesso le aziende si privano di competenze preziose, difficilmente sostituibili.

Si dovrebbe sì assumere i giovani, ma affiancando loro nei primi anni di vita in azienda manager esperti, che facciano da tutor e trasmettano loro il mestiere».

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