Mirafiori, orgoglio sbiadito di casa Agnelli

Fabbrica simbolo di Torino, era una città con tanto di spiaggia. L’era di Valletta e poi la crisi

Le linee di Mirafiori a pieno regime negli anni '70
Le linee di Mirafiori a pieno regime negli anni '70
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Si andava a Stupinigi. Il castello appariva come nelle favole, era la palazzina di caccia dei Savoia, attorno prati e canali e vecchie case del contado. Prima, lungo il viaggio, c’era Mirafiori, c’era la Fiat, di incanto, le chiacchiere, a bordo della mille e cento tv (turismo veloce non c’entrava la televisione), s’azzittivano, la fabbrica sorgeva maestosa, lunga, larga, non potevi sapere e immaginavi soltanto dove potesse finire. La strada portava il nome del fondatore, corso Giovanni Agnelli, il senatore. I torinesi potevano scegliere, andare in fabbrica o spassarsela nel cabaret di fronte, al confine con corso Unione Sovietica, quasi beffardo. Renzo Gallo era il nome del locale e del titolare, uno dei mille e più mille immigrati pugliesi. Gallo, baffoni a manubrio, aveva imparato in fretta e benissimo il dialetto turinèis e uno dei numeri più divertenti del suo spettacolo riguardava proprio Giuanìn ‘l fundeor, Giovanni il fondatore, dunque Agnelli, la “Feroce” come gli operai chiamavano la fabbrica e poi “Risula”, Ricciolo, per l’ondame dei capelli, l’avvocato Gianni. Quell’area periferica conteneva l’anello dell’ippodromo, il sanatorio, baracche, le scuderie Gualino sarebbero state demolite, oltre un milione di metri quadrati di superficie. Il senatore affidò il progetto a Vittorio Bonadé Bottino, un ingegnere che aveva disegnato gli stabilimenti di Porto Marghera e le Torri, i due alberghi del Sestriere. L’edificio mastodontico rispettava lo spirito del senatore, ufficiale dell’esercito nel reggimento Nizza Cavalleria, dunque rigore e disciplina del tratto, un parallelepipedo perfetto, all’interno lunghi corridoi, ampi spazi di lavoro, arredi essenziali, pulizia maniacale.

Il progetto di Agnelli non trovò gradimento immediato nel duce che preferiva decentrare la produzione e temeva che la concentrazione di forze operaie potesse creare i presupposti di una opposizione politica, cosa che sarebbe avvenuta. Agnelli tirò dritto, furono migliaia, si scrisse oltre cinquemila, gli operai immigrati dal Veneto e dal sud, ad incominciare i lavori nella primavera del Trentasette. Trecentomila metri quadrati la superficie coperta tra fabbrica di vetture, officine per i motori d’aviazione, fucine, centrale termoelettrica. Mirafiori era una città, autosufficiente, capace di rispondere alle nuove esigenze dei lavoratori, un refettorio lungo cinquecentosessanta metri, capace di undicimila ospiti, un enorme scaldavivande, altri luoghi di ristoro distribuiti nei reparti, sezioni mediche con ambulatori, bagni dotati di docce, ricoveri antiaerei e parcheggi per diecimila biciclette che erano il mezzo di trasporto per i lavoratori, oltre ad alcuni torpedoni che portavano gli operai ai cancelli di corso Agnelli.
Per tenere alta la fidelizzazione alla fabbrica il senatore aveva voluto una vasta area per il dopolavoro, circa duecentosettantamila metri quadrati, con piscina, spiaggia (!), campi da tennis, palla a volo, pallacanestro, tiro con l’arco, tiro con la carabina e una pista di pattinaggio a rotelle. Mirafiori rappresentava il proseguimento della città e della sua vita, portava nella sua insegna le quattro lettere che sono state il riassunto di un’epoca, Fabbrica Italiana Automobili Torino, come lo stesso Avvocato usava ripetere e scandire nei suoi discorsi anche in lingua inglese o francese, mai traducendo la dicitura italiana. Vennero anni difficili per il regime, nel maggio del Trentanove, Mussolini fu accolto senza entusiasmo dagli operai che dovettero attendere per due ore, sotto la pioggia, l’arrivo della comitiva da Roma. Il duce fu costretto ad anticipare la conclusione del suo discorso, il senatore in uniforme, restò sconcertato per il comportamento dei lavoratori già preoccupati per la crisi economica e i venti di guerra. Proprio il conflitto fece aumentare la produzione di mezzi per l’esercito ma la guerra portò morti e danni ingenti alla fabbrica, colpita ripetutamente dalle bombe, la crisi sfociò negli scioperi del Quarantatré. Il dopoguerra registra la rinascita, lenta, graduale con il potente fenomeno dell’immigrazione, la gestione Valletta consolidò Fiat, il mercato era gonfio di vendite prima degli anni caldi e di piombo, il tempo della contestazione, i picchetti davanti ai cancelli di Mirafiori, il giorno in cui anche Enrico Berlinguer si presentò e partecipò alla manifestazione, provocò la reazione di Gianni Agnelli, il quale, intervistato da Bruno Vespa, commentò: «Finora l’idea di comunismo era vista con due prospettive, una di speranza, l’altra di terrore. Dopo gli ultimi episodi, la speranza è scomparsa».

Come gli eredi di Agnelli, anche Mirafiori si è allontanata da Torino e

dall’Italia. Smobilita, è in vendita. Anche Renzo Gallo non c’è più. Resta la cartolina dei viaggi di fine settimana verso Stupinigi. Il silenzio rispettoso dinanzi a un monumento vuoto di idee e affollato di ricordi.

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