Se i benpensanti trovano scandalose le ronde, le baby-ronde saranno giudicate una sanguinosa offesa alla società civile, alla sua correttezza, alla sua bontà. E se invece provassimo a cambiare il punto di vista e ritenere che il controllo pubblico operato dalle ronde sia un’assunzione di responsabilità sociale di fronte alla dilagante criminalità? Questo modo di pensare ci aiuta a comprendere anche la decisione dell’amministrazione di Asti di estendere a ragazzini minorenni il compito di vigilare la città come fanno i fratelli maggiori o i padri. Le critiche che verranno sollevate a questa delibera della giunta comunale di Asti sono prevedibili, ricalcheranno quelle delle ronde «tradizionali» con l’aggiunta di facili varianti per drammatizzare il fatto che giovani innocenti vengano avviati sulla strada della violenza, del razzismo, dell’illegalità strisciante.
Inutile nascondersi che alcuni rischi sussistono, come quello di allevare ragazzi che vagheranno per le strade col volto aggressivo dei guerrieri della notte. D’altra parte questo stesso pericolo non è assente tra gli adulti che vestiranno i panni di controllori della vita notturna: il problema va affrontato e superato con la scrupolosa selezione del personale che vestirà i panni delle ronde.
Una testa calda è meglio che resti a casa, qualunque sia la sua età.
Una volta selezionato con scrupolo il personale che andrà a formare le fila delle baby-ronde, io credo che il vantaggio che si ottiene non sia quello di infoltire il numero dei controllori della vita notturna della città, ma quello della presa di coscienza, dell’assunzione di responsabilità.
Ormai è consuetudine lamentarsi del disinteresse dei giovani di fronte ai problemi della nostra società: li si considera apatici o egoisti, chiusi in un proprio mondo senza finestre sulla realtà, indifferenti ai problemi che, con buona dose di opportunismo, vengono lasciati agli adulti.
Affidare a dei ragazzi il compito di valutare la correttezza dei comportamenti dei concittadini, di intervenire quando le circostanze lo richiedano, di segnalare alle forze dell’ordine le emergenze significa inserirli nel circolo virtuoso che è l’assunzione di responsabilità attraverso un’esperienza concreta, fatta in prima persona.
Nulla insegna di più e più stabilmente di un’esperienza che si affronta preparati, con conoscenza e coscienza dei propri mezzi intellettuali e fisici. Non la si dimenticherà mai, continuerà a essere un proprio punto di riferimento durante la vita. «Ho affrontato questa situazione», si ricorderà «l’ho saputa risolvere», si dirà con un orgoglio che rafforzerà la propria identità, «ho capito come ci si comporta correttamente e come si possa mostrare agli altri la strada giusta da seguire».
Concretezza, esperienza, vita vissuta: questa società dominata da Internet lascia trionfare la virtualità, la conoscenza senza esperienza, la vita senza relazioni reali. È una trappola drammatica in cui rimangono impigliati anche i ragazzi più desiderosi di autenticità. E i genitori, anche i più attenti all’educazione dei propri figli, non hanno strumenti contro la prepotente virtualità del mondo di Internet, che rende i giovani fragili e insicuri quando si trovano ad affrontare le cose vere e non immagini virtuali di cui ci si può sbarazzare semplicemente con un clic.
Un’occasione da gestire bene, non certo la salvezza dalla vita astratta e senza rapporti concreti.
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