Baglioni Jr: «Papà? È troppo pop Mai un disco con lui»

Giovanni, 25 anni, non vuole confronti: «Quando mio padre è venuto a sentirmi tutti gli hanno chiesto l’autografo E la cosa mi ha infastidito»

da Roma

Non vuol competere col padre che canta. Lui (per ora) suona la chitarra. E pure bene. Giovanni Baglioni, 25 anni, figlio di Claudio, fuoricorso a Giurisprudenza («tanto è solo un pezzo di carta.») è in questi giorni al The Place, tra i locali giusti in città se vuoi arrivare lontano. Prima di lui su quel palco erano saliti Tuck and Patty, presto arriveranno gli Avion Travel e Patrizia Laquidara. Roba da far tremare le vene ai polsi a chiunque. Figuriamoci a uno che suonava con i Chiodofisso e che, nonostante sia allievo di Pino Forastiere, non ha ancora la confidenza necessaria con il palco. Giovanni si presenta al concerto un po’ intimorito, l’incedere è pacato e piacevolmente romanesco. Pian piano si scioglie: «Mi fate un po’ paura, meglio che cominci a suonarvi qualcosa, Rubik è dedicata a quel diavolo di un cubo...». Finirà per sfinirsi nei bis, anzi nei tris: «Stavo per crollare al suolo, non ce la facevo più, il pubblico chiede bis per pietà, educazione, stavolta hanno esagerato». La notizia, bella, da cui partire è che nessuno - tra un calice di vino rosso e un tagliere di salumi - ha osato chiedergli cover paterne. Una bella conquista.
Un’ora di concerto, pubblico in religioso silenzio, folk-rock e neanche un accenno a Piccolo grande amore e ad Avrai, il brano che papà le dedicò alla sua nascita. È diventato grande da solo.
«Figuriamoci. Nessuno avrebbe osato chiedermelo. Per fortuna posso dire che qui a Roma stanno cominciando a conoscermi per quello che sono: un musicista appassionato di chitarra. Niente pop, per quello c’è papà, che lo fa benissimo».
Tutto è nato dall’ascolto di un disco dell’australiano Tommy Emmanuel, mago del fingerpicking. Da lì si è appassionato al virtuosismo chitarristico. Oggi la sua musica potrebbe finire negli scaffali del jazz; in fondo Di Meola e De Lucia spesso vengono piazzati proprio lì in compagnia di Miles Davis e Herbie Hancock.
«Jazz? Be’, non mi sento ancora pronto. Quella è roba che si basa sull’esperienza, sull’improvvisazione. Per ora punto alla qualità e posso dire che la mia musica piace a chi di solito ascolta il jazz. Poi in futuro vedremo».
Come è andata la prima volta che papà l’ha ascoltata dal vivo?
«Per me è stata dura: la maggior parte del pubblico chiedeva autografi al Baglioni vero. E la cosa un po’ mi ha infastidito, poi ho capito che mi trovavo nel posto sbagliato, in una festa privata. Avevo i tappi di champagne che mi fischiavano nelle orecchie. La mia è musica strumentale e va ascoltata con attenzione, non è un rumore di sottofondo. Non era però una situazione difficile da prevedere».
Ha già duettato con lui dal vivo, pensa che lo farà prima o poi anche su cd?
«Chissà, magari potrei accompagnarlo con la chitarra. In passato l’ho già fatto con successo (vedi su Youtube). Forse continuerò a fare adattamenti delle sue canzoni, ma un cd insieme è difficile».
La sua è la generazione dell’I-Pod, delle canzoni ascolta e getta, non è che è un po’ fuori moda con questa musica? Ma li compra ancora i dischi lei?
«Ma quale I-Pod. Vivo in questo mondo fatto di musica e voglio contribuire alla causa.

Compro i dischi, anche se solo dopo tre ascolti a casa degli amici. Se sopravvivo alla terza passata caccio i soldi volentieri. Però che tristezza scaricare da internet, manca l’esperienza tattile dell’oggetto da possedere, da far vedere...».
Magari a un figlio
«Appunto».

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