Ballardini, il coraggio di parlare di valori nel mondo del calcio

Ballardini, il coraggio di parlare di valori nel mondo del calcio

(...) e l’impressione di essere capitato lì per caso, con Ballardini che si diverte pure a giocarci. O come Stefano Melandri, collaboratore tecnico che si occupa anche della preparazione atletica, un altro da conoscere. Un altro che fa piacere incontrare. Un altro che sembra un alieno buono nel mondo del calcio. Insomma, persone che sono una ricchezza per una squadra di serie A. E a confermarlo sono proprio i testimoni più diretti, che hanno a che fare con i Balla-boys tutti i giorni: i giocatori. Prima, è venuto allo scoperto Giandomenico Mesto, «felice perchè gioco nel mio ruolo». Poi, un po’ alla volta, Mimmo Criscito, Emiliano Moretti, Eduardo, rigenerato dalla fiducia del Balla. Fino ai pesi massimi dello spogliatoio: prima Dario Dainelli, poi Omar Milanetto. Che ha quasi riassunto le parole di tutti: «Ballardini è entrato nello spogliatoio in punta di piedi e poi ci ha dato serenità». E credo che siano i due massimi complimenti che si possono fare a un tecnico.
Poi, certo, Ballardini è di sinistra. Legge Repubblica e sua moglie Il fatto quotidiano. E, caro Piero, condivido in pieno con te il riferimento all’eroismo dei norvegesi, così come non credo che bastasse essere partigiani per essere persone perbene, nè che tutti i combattenti di Salò fossero da condannare. Anzi, negli anni, abbiamo raccontato proprio il valore di tanti di loro e le vendette private spacciate per resistenza. Su queste storie, la nostra colonna sonora è sempre stata Il cuoco di Salò di Francesco De Gregori, poeta di sinistra se ce n’è uno, insieme a Pier Paolo Pasolini, dedicata a tutti quelli che «qui si fa l’Italia e si muore, dalla parte sbagliata si muore». Quella canzone, quelle storie da storiografia delle Annales, quei cuochi «che possono essere utili in una bufera» sono la nostra bussola.
Così, come abbiamo sempre fatto, e come fai tu in modo benemerito, caro Piero, giudichiamo le persone valutando se sono perbene, oppure no, non dalla maglietta che portano, e Ballardini è uno perbene. L’ha dimostrato anche nella bella intervista (anche politica, certo) di Mauro Casaccia sul Secolo XIX, da cui mi piace cogliere qualche fiore: dal racconto della Genova ballardiniana («respiri storia, cultura, etnie e influenze diverse») a quello del Genoa ballardiniano («Trovare un gruppo così è stata la fortuna mia e dei miei collaboratori. E quel che ha detto Milanetto mi interessa come allenatore e come uomo»).
Soprattutto, i valori di Ballardini sono i miei valori. E non mi chiedo se siano di destra o di sinistra: «Tutti gli insegnamenti sono stati dei miei genitori e dei miei nonni: la reputazione, la memoria, la vergogna. Le cose contadine: essere retti, il comportamento, il lavoro, il rispetto delle regole. Quel che si fa resta, non va dimenticato». E così, gli insegnamenti erano quelli della mamma «che ha vissuto per me»: «Mi chiedevano di andare bene a scuola e nulla più. Senza dire molto, mi facevano capire con il comportamento la strada per diventare una brava persona». Compresa l’ammissione degli errori: «Secondo me è bello provare dispiacere e vergogna se si ha sbagliato, sapersi scusare». E ancora il «rispetto per il prossimo e per l’ambiente» o «la civiltà e il rispetto per le regole». Rispetto è una parola che Ballardini ripete spessissimo, gioiosamente. Dice cose, Davide, che non so se siano di destra o di sinistra, ma sono cose belle e giuste. Valori che sono i miei valori.
E ancora, la bellezza e la purezza dello sguardo con cui Ballardini guarda i bimbi, quella con cui parla di sua moglie, dei suoi figli, dei suoi genitori, dei suoi nonni, dei suoi amici, a partire da Carlo e Stefano, del suo lavoro: «Lo faccio con gioia e far vivere la mia famiglia grazie alla mia passione è gradevole». La bellezza con cui chiede il vizio della memoria, con cui condanna la superficialità: «Siamo sempre meno profondi e più superficiali in tutti i campi. Il rischio è che si perda tutto». La bellezza con cui racconta le sue serate genovesi a teatro, le sue visite alle mostre d’arte e la sua passione per il cinema, Benigni su tutti.
Un poeta, non a caso. Il poeta che ci ha regalato il gusto di riscoprire Mameli, che ha svelato la Commedia a tanti che avevano odiato Dante a scuola, che ci ha fatto piangere con Giosuè e il suo papà ne La vita è bella, ma anche il meno conosciuto Benigni de La tigre e la neve, dove si passa da Montale a Ungaretti, da Tom Waits che canta Non puoi mai fermare la primavera al grande Nazim Hikmet. (Nota per la stragrande maggioranza di coloro che allenano in serie A e che scrivono di sport, non certo Casaccia che mangia pane e letteratura, Hikmet non è un mediano turco).
Insomma, per l’ennesima volta volevo parlare di sport e mi sono trovato a parlare di poesia. Con Ballardini capita. Ed è l’ennesimo motivo per cui vorrei che rimanesse qui.


Perchè uno che dice «la vita è fatta dei propri cari, la famiglia, e degli amici. Sono la ragione per vivere, senza non saprei che fare. Sono la base per tutto il resto», io lo sento un amico vero, sapendo che è una parola da usare con il contagocce, una parola importante.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica