Il tema della disforia di genere è stato espropriato della sua intimità. Spiattellato in piazza, monopolizzato, usato come leva di propaganda. Venduto come lotta per un diritto. Gli effetti si vedono: per somministrare il farmaco blocca-pubertà, la triptorelina, bastano cinque sedute di psicoterapia e qualche modulo. C'è una leggerezza preoccupante da parte degli staff degli ospedali e i metodi utilizzati dai centri principali sono state contestate: troppo rapide, troppo «all'americana», nemmeno si tratti di un intervento estetico. Per questo lo scorso anno il Careggi di Firenze è stato al centro di un'ispezione ministeriale.
È urgente che il tema del cambio sesso torni in mano ai medici e venga levato dalle agende elettorali della politica. Ed è questo lo scopo del protocollo, ormai pronto, del tavolo tecnico interministeriale. Lo hanno scritto 29 professionisti tra endocrinologi, ginecologi, psichiatri, per «correggere il tiro» sulla scioltezza con cui si rischia di affrontare la transizione di genere.
Il ministro alla Salute Orazio Schillaci ha approvato le linee guida lo scorso aprile e a gennaio verranno comunicati i nuovi paletti e le indicazioni del protocollo. Una delle novità più rilevanti, da quello che apprende Il Giornale, è la creazione di un registro delle transizioni. Non significa una lista per schedare i nuovi gender, nulla di tutto ciò. Sarà un data base ad uso strettamente medico e gestito da Aifa, l'agenzia del farmaco, per monitorare gli effetti dei farmaci blocca ormoni: di fatto non è ancora scientificamente chiaro che effetti avranno sui ragazzi nel tempo e va considerato che molti Paesi, tra cui la Gran Bretagna, stanno tornando sui loro passi nella somministrazione della triptorelina. Il protocollo sarà utile per rendere più delicate e attente le procedure e, soprattutto, per uniformare la gestione della disforia in tutta Italia.
«Stiamo ultimando i lavori per mettere a punto un iter ufficiale - spiega Gianvincenzo Zuccotti, ordinario di Pediatria all'Università Statale di Milano - Ci sarà più chiarezza e omogeneità sui percorsi da seguire». Uno dei punti su cui fissare regole definitive riguarda le visite psichiatriche: i protocolli ne richiedono almeno 5 ma non tutti i centri ne rispettano numero e tempistiche.
Altro punto su cui mettere ordine: dal 2019 l'Oms ha depatologizzato la disforia di genere, cioè non l'ha più annoverata tra i disturbi mentali, perché tale non è. Ma questo non significa che non sia materia medica e che non vada trattata con i guanti. Leggendo tra le pieghe delle personalità ancora indefinite dei preadolescenti, capendo se il loro disagio è realmente disforia o semplicemente omosessualità.
Il caso della ragazzina di 13 anni di La Spezia, che ora sulla carta d'identità è un ragazzo con nome maschile, pone anche un altro interrogativo: c'è un limite d'età per la transizione? La ragazzina ha cominciato il suo percorso a 9 anni, in quarta elementare. Non è troppo presto per avere una consapevolezza sessuale? L'avvocato della famiglia di La Spezia parla di un «successo legale». Ma molte associazioni si chiedono se non ci sia stata troppa fretta nell'avviare il percorso. Vero è che il sistema deve avere la forza e la flessibilità di trattare «caso per caso» ogni storia, a ogni età. Ma la politica si interroga invece sul peso della sentenza, forse l'ultima prima del nuovo protocollo. «Siamo di fronte a una decisione che solleva interrogativi seri sul principio di tutela del minore e sul ruolo delle istituzioni chiamate a proteggerne la crescita e lo sviluppo psicofisico.
Questa è una sentenza chiaramente ideologica e strumentale» dichiara il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri. Proteggere i minori dalla loro stessa fragilità: per questo è urgente che la parola passi ai medici e agli psicologi.