Bambino muore in corsia, il pm archivia col "copia e incolla"

Nel Veronese un bimbo muore in ospedale. I medici: "Tutto naturale". Ma i genitori fanno causa. Il gip chiede un'altra perizia e il pm presenta la stessa consulenza bocciata

Bambino muore in corsia, 
il pm archivia col "copia e incolla"

La prima richiesta di archiviazione è del 3 agosto 2007. La seconda, quasi una copia della precedente, è del 3 ottobre scorso. In mezzo c’è il dramma di una famiglia del Veronese che non trova giustizia e di una giustizia «copia e incolla» che si attorciglia su se stessa. È una storia terribile quella che arriva da Villafranca, ma la coda rischia di essere anche più atroce per i genitori di un bambino che non c'è più: il piccolo Francesco (il nome è di fantasia), tre mesi, viene portato di corsa dal nido all'ospedale. Sta malissimo e dopo un'agonia di 20 ore muore. Che cosa è successo? La famiglia sospetta una broncopolmonite e ipotizza una responsabilità da parte delle due educatrici presenti nella struttura quella mattina. Parte l'inchiesta della Procura di Verona che si affida a un consulente. Il responso del medico legale è tranchant: Francesco è morto per Sids, più nota come morte in culla, una patologia contro cui è quasi impossibile lottare. Un male oscuro che porta via come piccoli angeli i neonati e certo non può essere misurato col metro del codice penale. Perché una morte del genere dipende dal destino, ma non ammette responsabilità umane. Il Pm fa sua questa impostazione e chiede l'archiviazione del caso.

Il gip, però, non è convinto e ordina nuovi accertamenti. Vuole saperne di più «sulla sostanza rigettata dal bambino» nelle ore convulse prima della morte. Un punto che il papà e la mamma di Francesco sottolineano: il piccolo non è morto nel sonno, nel suo lettino, ma dopo ore e ore di sofferenza.

Insomma, la diagnosi non convince e il giudice vuole vederci chiaro. Bene, cosa fa il Pm? Si rivolge allo stesso consulente, il medico legale con studio a Verona, chiedendogli di riprendere in mano le carte. Una situazione paradossale, come spiega al Giornale l'avvocato Alberto Franchi: «È ovvio che il consulente non possa e non voglia smentire se stesso. È pacifico che se un medico ha stilato una diagnosi, non potrà certo rimangiarsi il proprio verdetto in un secondo momento».
Facile profezia. Il medico riapre la pratica, la studia, poi arriva alla stessa conclusione di prima: «Si può con serenità valutativa affermare in termini di ragionevole certezza che la morte del piccolo non è in alcun modo ricollegabile ad asfissia ab ingestiis essendo, invece, inquadrabile nell'ambito della Sudden infant death syndrome, Sids».

Siamo così alla richiesta di archiviazione numero due: «Si osserva - scrive il Pm - che sono state effettuate le indagini richieste dalla Signoria vostra. In particolare è stata depositata integrazione alla consulenza già svolta che conferma e chiarisce le conclusioni cui si era già pervenuti». Più o meno le stesse parole impiegate quattordici mesi prima: «L'esito della consulenza è tranciante nell'escludere profili di responsabilità penali non solo in capo alle due indagate, ma anche nel valutare la assoluta correttezza nelle condotte di tutte le persone che hanno avuto un qualsiasi ruolo nella tragica vicenda del decesso del piccolo che però è avvenuto per cause naturali e senza alcuna possibilità di umano rimedio».

Già, sarebbe stato strano, per non dire inverosimile, attendersi dagli stessi protagonisti un finale diverso: in sostanza il Pm ha chiesto al suo consulente di controllare quel che il consulente aveva spiegato al Pm l'anno prima. Ha senso una giustizia che cammina come il gambero all'indietro? Non sarebbe stato opportuno chiedere un parere a un'altra struttura? La famiglia, esasperata, chiama il Giornale: «Noi - affermano i genitori di Francesco - siamo stati due volte vittime: prima della malasanità, poi della malagiustizia».

L'avvocato Franchi invece si prepara in trincea; nelle prossime settimane il gip dovrà decidere se archiviare una volta per tutte la storia o riaprirla: «Questa storia - conclude Franchi - non può finire così. I dubbi di un ano fa sono gli stessi di oggi, i genitori aspettano ancora la verità».

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