Banca del Sud appesa al sì di Monti

Banca del Sud appesa al sì di Monti

Massimo Sarmi, ad delle Poste, lo ha da poco ribadito: «La Banca del Mezzogiorno partirà in gennaio». Ma molti in questo momento si chiedono: davvero il nuovo governo darà vita a un progetto fortemente voluto dall’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti? Vi vedrà uno strumento di sviluppo coerente con il nuovo corso, oppure prevarranno le critiche, da qualche parte sollevate, secondo le quali la nuova banca sarà un modo discrezionale per finanziare amici e amici degli amici? Ma se pure il nuovo istituto sarà considerato «scomodo», difficilmente il governo Monti-Passera, a torto o a ragione considerato «dei banchieri», si assumerà l’impopolare responsabilità «di tagliare la testa a un bimbo ancora in culla», come dice in maniera colorita il senatore del Pdl, Antonio Gentile, fino a pochi giorni fa sottosegretario all’Economia con delega proprio allo sviluppo del credito nel Mezzogiorno. Il Sud è ormai privo di grandi banche autonome, e due degli istituti storici sono approdati al Nord: il Banco di Napoli al gruppo Intesa Sanpaolo (quello guidato fino a pochi giorni fa da Corrado Passera), il Banco di Sicilia a Unicredit.
In effetti tutto è pronto. Per la fine di novembre era addirittura già prevista la preinaugurazione di uno sportello in Calabria, con una cerimonia solenne alla quale avrebbe partecipato lo stesso Tremonti. Tutto cancellato, ovviamente. Ma dalla Banca d’Italia confermano che l’iter autorizzativo è stato completato, e all’Abi mostrano di aver superato gli antichi sospetti per un nuovo concorrente che potrebbe dar fastidio. Le decisioni, quindi, non appartengono più alla sfera tecnica: sono solo di natura politica. E nello stesso Pdl, al Sud, c’era già con il vecchio governo chi non era in perfetta sintonia: per esempio, in Sicilia, Stefania Prestigiacomo e Gianfranco Micciché. Per creare il nuovo istituto, le Poste di Sarmi (di cui è azionista il Tesoro, ovvero - oggi - lo stesso Monti) ha acquistato in agosto da Unicredit il Mediocredito Centrale (per 136 milioni), al quale ha subito cambiato nome in Banca del Mezzogiorno. Lo stesso Sarmi ha assunto la presidenza, mentre ad è l’ex numero uno di Antonveneta, Piero Luigi Montani, che qualche anno fa balzò sulle cronache dei giornali come il manager «più pagato del Veneto». L’investimento in strutture è minimo, perchè gli sportelli si appoggeranno a quelli postali («basta una vetrofania e una scrivania»). All’avvio saranno 250 nelle otto regioni del Sud, isole comprese, per puntare, a regime, a una capillarità fatta di 4mila punti posta-banca.
L’istituto è una banca di secondo livello, specializzata nel credito agevolato alle piccole imprese: l’acquisto del camion, del forno per la pizzeria, della serra. Viene immaginato un taglio medio di 50mila euro.
All’avvio i fondi verranno «direttamente dal capitale sociale delle Poste e del Mediocredito», afferma il senatore Gentile. Successivamente saranno emessi prestiti obbligazionari venduti per mezzo della rete postale. Non sarà usato, questo è certo, il denaro raccolto da Bancoposta, perchè lo statuto delle Poste vieta i prestiti: in effetti già oggi il rischio dei crediti concessi da Bancoposta appartiene alla Deutsche bank.


Ma la rete Bancoposta otterrà, dall’operazione Banca del Mezzogiorno, intuibili sinergie: il credito accordato da quest’ultima sarà erogato attraverso i conti correnti di Bancoposta, che quindi diventeranno necessari anche per nuova clientela.

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