A spezzare la monocorde litania celebrativa delle associazioni imprenditoriali italiane verso il governo Renzi (intervallata solo dalle critiche di Confcommercio) poteva riuscire solo un ex politico, il presidente dell'Associazione bancaria italiana (Abi), il liberale Antonio Patuelli. Ieri nella consueta assemblea annuale il capo della Confindustria delle banche ha criticato duramente le misure fiscali dell'esecutivo che penalizzano gli istituti di credito in un momento molto delicato come quello dell'esame della Bce.
Il peso della tassazione, in particolare l'addizionale straordinaria Ires varata a fine 2013, «contrasta non solo con le regole di equità» ma sfavorisce la ricapitalizzazione delle banche italiane in vista degli stress test della Banca centrale europea. L'invettiva di Patuelli traduce in parole l'insofferenza di un sistema che non ha solo sopportato l'inasprimento del prelievo fiscale, ma si è pure visto cambiare in corsa l'aliquota (dal 12,5% al 26%) applicata alle plusvalenze sulla rivalutazione delle quote detenute in Banca d'Italia.
Attaccare le banche, come spesso fa il premier, è facile: l'opinione pubblica non le ama perché le ritiene poco trasparenti e sempre propense a concedere credito agli «amici» e non a chi ne ha bisogno. Eppure, ha aggiunto il numero uno dell'Abi, «hanno sopportato e continuano a subire da sole gli effetti della crisi senza bad banks, senza aiuti di Stato e con alti livelli di tassazione». Il complesso dei crediti deteriorati ha superato i 290 miliardi di euro (86,5 miliardi a fine 2008), un'impresa su quattro con la crisi non è riuscita a onorare i propri debiti bancari. Le big italiane come Intesa e Unicredit hanno cominciato a smaltire lo stock di prestiti rischiosi cedendoli o affidandoli a partner specializzati, mentre per i piccoli e medi istituti, ancora ieri, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, è tornato a chiedere «un intervento pubblico per aiutarle a superare le difficoltà», cioè una bad bank che ne assorba le sofferenze. Ecco perché Patuelli ha messo l'accento sull'esigenza di ristabilire «l'uniformità delle regole» senza ingiuste penalizzazioni.
Ma il vero affondo è stato sulle politiche del governo. «Solo realizzando riforme, innanzitutto costituzionali, non confuse, si potrà davvero favorire una ripresa veramente solida e duratura», ha concluso. Quella ripresa che tanto Patuelli quanto Visco vedono più debole di quanto l'ottimismo di Palazzo Chigi non tradisca.
Dinanzi a queste bordate il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha saputo dir di meglio che «la pressione fiscale deve essere ridimensionata» ma che «consolidamento e riforme vanno insieme». Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Le parole di Patuelli, però, non devono essere sottovalutate né dal Tesoro né dal governo. Il numero uno dell'Abi ha parlato anche per conto dei grandi gruppi bancari (tradizionalmente non ostili al premier).
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