Nicola Porro
da Milano
Conviene non archiviare la recente uscita della banca Sanpaolo dalla Fiat come un fatto isolato. La dura trattativa che Marco Tronchetti Provera sta gestendo nelluscita di Hopa (la scatola di Gnutti e dei bresciani, ma anche di una piccola pattuglia di banche) da Telecom e le munizioni preparate per le prossime scadenze che riguardano Unicredit e Intesa, si inseriscono in un filone simile. Nuovi rapporti tra banca e grande impresa. Piene di risorse le prime, piuttosto indebitate le seconde.
Non è un caso che un «anticipatore dei problemi» come Tronchetti si sia affidato, per risolvere la situazione proprietaria della Telecom, a due consulenti molto speciali. Bruno Ermolli per la gestione delle trattative: un uomo bene introdotto anche a Palazzo Chigi. E Guido Rossi per le vicende legali: un signore che la Telecom, nel passato lha gestita, e che da venti anni, quando interpellato, alza il livello del tono giudiziario al parossismo.
E certamente lo scontro è di quelli al calor bianco anche a Torino. Non si era mai visto un presidente della banca locale, che è anche la prima banca italiana e tra i primi creditori della Fiat, definire i vertici del Lingotto «troppo supponenti». Come è avvenuto nella bella intervista rilasciata a Federico Rampini su La Repubblica di ieri. È interessante notare come Enrico Salza tra i giornali controllati dalla Fiat, oltre alla Stampa, annoveri anche il Corriere della Sera. Quando nel primo caso fu proprio Salza a decidere le sorti del recente cambio alla direzione e nel secondo vi è un azionariato fatto da quindici volti. Così come non accade tutti i giorni leggere giudizi sul presidente della Fiat e della Confindustria del genere: «Non può fare mille mestieri» o anche è uno «dei numerosi finti progressisti». A Torino si tende a sottolineare la storica rivalità tra Salza e Montezemolo. Ma non basta. Così come taluni vorrebbero ridurre la polemica a una stoccata «prodiana» nei confronti dellattivismo politico di Motezemolo. A quanto risulta al Giornale altrettanto debole è quella spiegazione che vedrebbe una parte della famiglia Agnelli accondiscendente alle dure critiche avanzate da Salza. Gli Agnelli, anche coloro che inizialmente erano ostili alla salita della famiglia nellazionariato Fiat, sono compatti nello scommettere, ormai, sul piano di rilancio di Marchionne. Tanto più che anche questultimo, e questa è una novità, è stato oggetto del jaccuse salziano.
Insomma la levata di scudi di Salza contro la Fiat, con le esplicitazioni di ieri su La Repubblica, e la cessione sul mercato di un pacchetto grasso e pesante come il 3,5% del Lingotto avvenuto la settimana scorsa, hanno un significato più di sistema. Il settore bancario non ha più intenzione di essere soltanto sleeping partner di unimpresa che non ha le risorse per fare da sé. Giusta o sbagliata che sia questa impostazione, gli è che il sasso gettato da Salza genererà nelle prossime settimane le sue onde durto. Alcune allinterno della stessa banca. Dove la linea di rottura di Salza e Iozzo, lamministratore delegato, non è condivisa dai due giovani leoni del gruppo: Pietro Modiano e Mario Greco. Questi ultimi giocano ancora una partita di crescita allinterno della banca e dunque sentono la necessità di un «ecumenismo cittadino» maggiore e di un rapporto con la Fiat decisamente più accomodante. Inoltre non dimenticano come più del 5% della banca sia in mano allIfil, la finanziaria di casa, e il presidente della fondazione che controlla il 7% del San Paolo, sia Franzo Grande Stevens, non esattamente un estraneo dal Lingotto. Ma per quanto importanti si tratta pur sempre di vicende domestiche. La palla alzata da Salza, come detto, riguarda le principali banche italiane.
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