
L’Istituto per le Opere di Religione, ovvero lo Ior, ha archiviato il 2024 con un utile netto di 32,8 milioni, in crescita del 7% rispetto al 2023, e staccherà a Papa Leone XIV un dividendo di 13,8 milioni «a sostegno delle opere di religione e di carità». Il margine di interesse è cresciuto del 5,8%, mentre quello commissionale e di intermediazione rispettivamente del 13,2% e del 3,6% rispetto al 2023. La raccolta complessiva (depositi, conti correnti, gestioni patrimoniali e titoli in custodia) gestita dall’Istituto è aumentata a 5,7 miliardi rispetto ai 5,4 miliardi del 2023 e il patrimonio netto ha raggiunto quota 731,9 milioni (+64,3 milioni).
Sono state rafforzate funzioni chiave e assunte nuove risorse specializzate: è stata, infatti, sviluppata una infrastruttura digitale e IT per servire meglio i clienti e «la robustezza del Tier 1 ratio, così come i coefficienti di liquidità, posizionano l’istituto tra le più solide istituzioni finanziarie del mondo in termini di patrimonializzazione e liquidità». I conti sono stati approvati all’unanimità dal Consiglio di Sovrintendenza dell’istituto e, come da Statuto, trasmesso alla Commissione Cardinalizia per le rispettive valutazioni. Il bilancio dello Ior è infatti autonomo rispetto a quello della Santa Sede (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), nel quale a sua volta confluisce anche l’Obolo di San Pietro, e da quello dello Stato della Città del Vaticano. L’ultimo rendiconto per il 2024 riportava un disavanzo di circa 70 milioni (79,8 milioni di dollari).
Jean-Baptiste Douville de Franssu (presidente dello Ior dal luglio 2014, in foto), e il direttore generale Gian Franco Mammí, in un’intervista con Bloomberg hanno spiegato la pulizia dei conti dello Ior dopo gli scandali.