La band: «Dopo i concerti kolossal, torniamo al rock»

Anche volendo, si fatica a trovare un altro gruppo come i Pooh. Sono insieme da decenni, hanno un marchio inconfondibile e sono parte della musica italiana come pochi altri. Perciò ieri, quando Red Canzian, Roby Facchinetti e Dodi Battaglia hanno presentato il gigantesco cofanetto Legend, c’era parecchia emozione. Quattro libri. E quattro dvd per dieci ore di filmati storici. «Valorizziamo i nostri ricordi. In Italia ci si dimentica troppo facilmente delle cose accadute. In Francia, ad esempio, se pubblichi anche solo un brano di successo, sei ricordato per sempre». Sottinteso: qui da noi no. Per quei tre o quattro che ancora non lo sapessero, i Pooh hanno pubblicato Piccola Katy nel 1968, l’anno prima che l’uomo sbarcasse sulla Luna, e quel brano è ancora un caposaldo della nostra storia popolare. Da allora c’è stata una sequenza impressionante di successi. E anche il loro primo album senza Stefano D’Orazio, Dove comincia il sole, è un esempio di come la musica realmente suonata, senza l’ausilio di succedanei tecnologici come campionamenti o loop o qualsiasi altra diavoleria digitale, ritorni a essere protagonista. Sarà per questo che i Pooh sono tra le band che suonano di più dal vivo. «Se suoni sul serio, l’applauso fa ancora più piacere», dicono. E non è un vanto purchessia. Dopo un «gigantismo» durato quasi due decenni, i Pooh sono tornati all’essenza del rock, spesso venato di pop e comunque germogliato dal beat e dal progressive. In un mondo che metabolizza ogni fenomeno pop in pochi anni, o addirittura in pochi mesi, i Pooh sono un punto di riferimento che non accenna a sparire e che, dopo aver suonato a Tel Aviv, tra un mese e mezzo partirà per Tokio per essere la star del Progressive Rock Festival. Nel frattempo c’è Legend che, grazie all’efficienza di Artist First, è il prologo di una serie di pubblicazioni che comprende i loro album rimasterizzati. In un confanetto pesante quasi un chilogrammo, ci sono immagini dei loro concerti con Stefano D’Orazio come quello faraonico in piazza Duomo a Milano nel 1990.

O con Riccardo Fogli, roba ormai vecchissima. E ci sono rarità che piaceranno a chi ama la musica in generale. La musica, ovvio, di chi la suona a sessant’anni con lo stesso entusiasmo di quando ne aveva venti.
Solo con più consapevolezza.

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