Bandiere locali? Tutte chiacchiere da ombrellone

Caro Granzotto, non so come prendere la proposta della Lega di abbinare di volta in volta al tricolore la bandiera con il simbolo della Regione. Ho letto Mario Cervi che dice giustamente che le Regioni non fanno parte della storia e dell’identità italiana essendo state istituite solo poco tempo fa. Però rispecchiano antiche territorialità e poi a me pare che siano molto sentite. Si sente sempre un certo orgoglio quando qualcuno dichiara «sono siciliano», «sono lombardo», «sono sardo» o «sono toscano». Ho letto poi le vibrate proteste della sinistra che sino alla Bolognina abbinava però il tricolore (dietro) con la falce e il martello (davanti). Lei che ne dice?
Giuseppe Rovani - e-mail

Dico che la faccenda non mi interessa. Dico di non poterne più della trombonaggine, della retorica, della ventosa oratoria in tutte maiuscole di quanti - e sono in molti, sono tantissimi e fra questi folta è la rappresentanza delle «personalità istituzionali» - per condannare la proposta leghista tirano in ballo la Costituzione, l’Unità d’Italia, il sentimento patriottico, Curtatone e Montanara, le spigolatrici di Sapri, i fratelli Bandiera, Garibaldi e «Qui si fa l’Italia o si muore!». Ma vogliamo scherzare? Ma vogliamo farci ridere dietro anche dal re del Tonga? Ma davvero qualcuno può pensare che se al balcone del municipio di Tocco a Casauria insieme al tricolore garrisce il gonfalone abruzzese va in pezzi l’Italia una e indivisibile? E va a finire che a Solferino l’italico sangue (e quello francese, a volerla dire per intero) è stato versato invano? Ma ci facciano il piacere! E la bandiera dell’Europa, allora? Che spunta ovunque, persino nelle gelaterie, nei chioschi di souvenir made in Taiwan? Simbolo stesso della decomposizione coatta dell’entità nazionale, destinata a sparire fra i pistoni e gli stantuffi nella Patria Comune Europea? Non è forse il drappo blu stellato ad indicare l’archiviazione del processo unitario con tutti i suoi valori bagaglio appresso? Eppure compare alle spalle di Giorgio Napolitano, alle spalle di quel Oscar Luigi Scalfaro in versione «light» che è Gianfranco Fini. Vede, caro Rovani, se non si finisse, come siamo finiti, sommersi dalla demagogia ad alto tono declamatorio, della proposta leghista se ne potrebbe anche discutere. In fondo è estate e le chiacchiere d’ombrellone non hanno mai fatto male a nessuno. Si passa il tempo disquisendo sull’irrilevante, che è un buon sistema per rilassarsi, per far passare la noia. Al massimo può sorgere la curiosità di sapere che simbolo abbia - e dunque che bandiera - questa o quella regione. Curiosità che tornerebbe anche utile per un ripasso della geografia, materia mi dicono ormai negletta nelle aule scolastiche.

Ecco, se le cose andassero così, chi direbbe niente? Purtroppo si tira invece in ballo la Costituzione e quando ciò accade, quando ci si impettisce, si alza il ditino, si assume il tono solenne, austero dei momenti gravi appellandosi a Rosolino Pilo e agitando come uno scacciamosche la Magna Charta, meglio darsela a gambe, caro Rovani. Creda a me.

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