«Bandire Dio dalla vita pubblica è ipocrisia»

Richiamo all’Europa che è stata centro di irradiazione del cristianesimo e che oggi «produce l’aceto dell’autosufficienza»

Andrea Tornielli

da Roma

Benedetto XVI ha celebrato ieri mattina l’apertura del Sinodo dei vescovi dedicato all’eucaristia e commentando le Scritture del giorno ha lanciato un monito all’Europa e all’Occidente ricordando che quando Dio viene «bandito dalla vita pubblica» non c’è «tolleranza», ma «ipocrisia» e che «laddove l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere giustizia». Parole forti che pur non entrando nel merito delle recenti polemiche italiane sul riconoscimento delle coppie di fatto rivendicano un ruolo pubblico per la fede e per il contributo che questa può dare alla vita della società.
Avvolto nei paramenti liturgici verdi e circondato da 256 padri sinodali provenienti da 118 Paesi, Benedetto XVI ha presieduto la messa che dà l’avvio al Sinodo, un appuntamento già programmato da Papa Wojtyla, il primo di Papa Ratzinger. Nell’omelia, il Pontefice ha commentato i due brani delle Scritture del giorno: il testo di Isaia dove si parla della vigna che invece di uva buona produce uva selvatica, vale a dire «violenza, lo spargimento di sangue e l’oppressione», e la parabola evangelica che racconta degli affittuari della vigna che bastonano i messaggeri del padrone e uccidono suo figlio per impossessarsi di ciò che non appartiene loro. «Noi uomini – ha detto il Papa – ai quali la creazione, per così dire, è affidata in gestione, la usurpiamo. Vogliamo esserne i padroni in prima persona e da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato».
«Dio ci è d’intralcio – ha continuato Benedetto XVI – o si fa di lui una semplice frase devota o egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato. La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza ma ipocrisia». Ma questo atteggiamento, che caratterizza particolarmente la nostra epoca, ha conseguenze che il Papa descrive subito dopo: «Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi».
Ma Benedetto XVI ha ulteriormente attualizzato il messaggio delle Scritture: «La minaccia del giudizio – ha spiegato – riguarda anche noi, la Chiesa in Europa, l’Europa e l’Occidente in generale. Con questo Vangelo il Signore grida nelle nostre orecchie le parole che nell’Apocalisse rivolse alla Chiesa di Efeso: “Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto”. Anche a noi – ha commentato il Papa – e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo al Signore: “Aiutaci a convertirci! Dona a tutti noi la grazia di un vero rinnovamento! Non permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore, perché possiamo portare frutti buoni!”». Un richiamo rivolto innanzitutto ai cristiani, che spesso si abbandonano all’«autocommiserazione», ai conflitti e all’«indifferenza». Ma anche un richiamo all’Europa e all’intero Occidente, che è stato centro di irradiazione del cristianesimo mentre oggi produce «l’aceto dell’autosufficienza, della scontatezza di Dio e della sua creazione».
L’ultima parte dell’omelia è dedicata alla speranza, perché non è la minaccia ad avere l’ultima parola nel Vangelo. Papa Ratzinger ricorda il sacrificio di Gesù sulla croce e quel «dono di se stesso» rappresentato dall’eucaristia, «la presenza del suo amore per noi». E invita i cristiani a rimanere «uniti a Lui».


All’Angelus, recitato dalla finestra del suo studio al termine della celebrazione, Benedetto XVI ha parlato ancora del tema del Sinodo, spiegando che «l’eucaristia, in effetti, è il centro propulsore dell’intera azione evangelizzatrice della Chiesa, un po’ come il cuore lo è nel corpo umano».

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