Al bando i croissant politicamente scorretti

Gentilissimo Dott. Granzotto, pochi giorni fa ho avuto modo di leggere che il «politicamente corretto» ha colpito ancora ed a mani basse. La Nasa (ed altri organismi, mi pare di ricordare) hanno deciso di depennare la dicitura b.C. (before Christ) e a.D. (anno Domini) sostituendola con e.v. (era volgare) in quanto «offenderebbe» i non cristiani. A me sembra una fesseria, ma per essere coerenti fino in fondo allora i non cristiani non dovrebbero festeggiare il Natale e - soprattutto - ognuno dovrebbe usare un calendario suo: se lo immagina che bailamme? Sarebbe come se noi europei decidessimo all’improvviso di non usare i numeri in quanto arabi ed usare di nuovo quelli romani. A parte ciò volevo chiederle: da quando si usa il calendario che fa riferimento a Nostro Signore e chi fu l’artefice? Inoltre: da quando è stata attribuita la data natale di Nostro Signore al 25 dicembre e da chi (Dionigi il Piccolo)?



Si può essere più fessi di così, caro Rosati? E mi limito a fessi, perché ben altro termine qualificherebbe quei pirloni della Nasa. E siccome la mamma dei pirloni è sempre incinta, coi ritmi del calabraghismo morale e materiale dell’Occidente aspettiamoci presto altre epurazioni. Aspettiamoci ad esempio la proibizione di confezionare e vendere i croissant, i cornetti, sfornati per la prima volta nel 1683 dal pasticciere Vendler per festeggiare la rotta dell’armata ottomana di Mustafà Pascià e la conseguente fine dell’assedio di Vienna. Un dolce sberleffo, perché croissant significa mezzaluna e la mezzaluna è il simbolo dell’Islam e nel nostro caso di una sua solenne disfatta. In quanto al Natale, è già in via di revoca: da tempo i canti tradizionali - come il dolce, domestico «Tu scendi dalle stelle» - sono ritenuti politicamente scorrettissimi. Non parliamo poi del presepe. La festività sta sempre più assumendo una impronta pagana (oltre che multiculturale, va da sé) e io ci scommetto che più prima che poi verrà sostituita con quella agghiacciante farsa di Halloween.
In quanto al calendario, si può dire che ci sia da sempre, caro Rosati. Per restare dalle nostre parti, il primo fu quello detto di Numa Pompilio, poi rimaneggiato da Giulio Cesare (il calendario giuliano), che partiva ab Urbe condita, dalla fondazione dell’Urbe. Di quello conserviamo ancora i nomi dei mesi (senta questa, caro Rosati: quando, per onorare l’imperatore, il Senato stabilì di dare al sextilis, l’odierno agosto, il nome di augustus, pensò bene di assegnargli tanti giorni quanti ne aveva quello dedicato a Giulio Cesare, il luglio. Per poterlo fare, tolsero un giorno al febbraio, che si ridusse a 28 giorni, 29 negli anni bisesti). Il calendario giuliano andò avanti fino al 526, anno in cui Papa Bonifacio incaricò Dionigi il Piccolo di proseguire il conteggio delle Tavole dei cicli pasquali, fermo al 531. Stabilito, sarebbe troppo lungo spiegare come, che il primo anno dell’era cristiana corrispondeva al 753esimo dalla fondazione di Roma, Dionigi rifece tutti i calcoli ponendo così le basi del calendario (e del conteggio del tempo) odierno. Per fare poi esattamente corrispondere il calendario civile all’anno solare (uno sfasamento di undici minuti all’anno), nel 1582 Papa Gregorio XIII gli fece dare una aggiustatina e quanto ne risultò divenne il calendario gregoriano, poi adottato universalmente (l’ultima fu la Russia, nel 1818).

È arcinoto, per concludere, che Dionigi sbagliò i conteggi posticipando la nascita del Cristo di sei o sette anni. Per cui ora non saremmo nel 2007 ma nel 2000 o giù di lì. Ma cosa cambia? Io i miei anni me li sento tutti, per quanti sono, Dionigi o non Dionigi.

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