Politica

Al bando il latte con le bollicine

Sacrilegio! Il latte marchiato Coca-Cola! E allora perché non il latte Mc Donald’s o il latte Barilla o il latte Chiquita, per dire di altre multinazionali che col latte c’entrano poco o nulla? L’inquietante notizia è che la megamarca di Atlanta sta per lanciare dapprima sul mercato americano e poi, se va bene, su quello planetario, il latte frizzante.

Le bollicine ovviamente sono un cavallo di Troia per penetrare nella cittadella della notte giovane, fra ragazzetti che neanche morti si farebbero vedere con la cannuccia infilata dentro un cartone di latte liscio, quello delle Centrali del Latte per intenderci. E non venitemi a dire che potrebbe essere la soluzione alla piaga dell’alcolismo minorenne a cui i sindaci italiani, Letizia Moratti in primis, stanno cercando di porre rimedio.

È inutile, bisogna rassegnarsi, a quindici anni il salutismo proprio non affascina e la turpitudine del gusto non conosce limiti, sono sicuro che se il latte frizzante prendesse piede verrebbe subito corretto, ritoccato, potenziato col primo superalcolico di passaggio. Già esiste un’opinabile tradizione cocktailistica che prevede il connubio fra distillati e derivati del latte: si pensi all’Alexander e all’Irish Coffee.
Sono due molto rinomate bombe, vecchie conoscenze dei pronto soccorso: la prima è a base di gin, crema di cacao e crema di latte, la seconda contiene caffè, zucchero, panna e naturalmente whisky. Con aggiunta di latte frizzante le due temibili pozioni scenderebbero ancor più velocemente per il gargarozzo, e povero fegato. Il latte della Coca-Cola dovrebbe chiamarsi Vio ma viene voglia di chiamarlo Lattepiù, il beverone che eccitava le violenze degli eroi di Arancia meccanica. Certo, dentro il Vio non ci sarà la mescalina come nel latte del film di Kubrick ma quando si comincia a manomettere la natura poi è più facile andare avanti che tornare indietro. Per ora si parla di quattro gusti, tutti legali e nessuno allucinogeno: limone, pesca-mango, tropicale e frutti di bosco.

Se avessi letto che la Coca-Cola stava per comprare e stravolgere il crodino la notizia non mi avrebbe fatto né caldo né freddo, ma sul latte non si scherza. Come mai? Facile, perché il latte è simbolo, è purezza, è maternità. Fino a ieri una superficie immacolata veniva definita bianco latte ma se dentro ci mettono il pesca-mango il latte che colore avrà? C’è il rischio di veder saltare tutti i riferimenti cromatici. Non mi ricordo chi ha detto (forse Gianni Boncompagni?) che le donne brutte sono meno brutte se abbronzate mentre le donne belle sono più belle se pallide, condivido quest’idea biecamente maschile e mi commuovo di fronte a una carnagione lattea, mai contaminata dal sole. L’importante è che il latte a forza di additivi non cambi colore: i frutti di bosco mi piacciono ma una pelle color mirtillo non credo. Non vorrei capitasse quello che è successo allo yogurt.

Vi ricordate? Ci fu una arcadica stagione in cui negli scaffali dei supermercati lo yogurt era uno solo ed era bianco. Qualcosa di molto semplice e molto sano. Adesso che gli yogurt occupano un chilometro di frigorifero, mezza dozzina di marche e decine di gusti e varianti, lo yogurt bianco, normale, non zuccherato e senza aggiunte di sorta, va cercato col lanternino, a volte ti sfugge, non lo trovi e ti tocca fare marcia indietro per ristudiare lo scaffale dall’inizio, magari andando a sbattere nella donna che cerca il burro con lo sconto e la mozzarella coi punti Fidaty. Scusi signora, sono alla ricerca dello yogurt perduto.
Anche il latte si è complicato, di meno ma si è complicato: ai soliti litri pastorizzati e a lunga conservazione da qualche tempo si è aggiunto un terzo tipo, di durata intermedia, che non saprei come definire: Pastorizzato forte? Sterilizzato piano? Sta di fatto che mi è capitato di comprarlo per errore e il mattino dopo, a colazione, mi è sembrato di bere gesso liquido. Il latte è tutto uguale? Ma per carità. Ogni tanto, non sempre, nella latteria sotto casa ho la fortuna di trovare un latte di montagna, non scrivo il nome altrimenti mi accusano di fare marchette, e poi non servirebbe nemmeno a loro perché già non riescono a soddisfare le richieste. Ebbene, siccome in quell’allevamento le vacche mangiano buon fieno e non mangimi il latte è densissimo, sostanziosissimo, gustosissimo, inoltre sulla superficie della bottiglia si forma una pellicola bianca che se non è burro poco ci manca. In confronto le altre confezioni in commercio sembrano contenere acqua colorata di bianco.

Non oso immaginare con quale materia prima sarà prodotto il latte frizzante che incombe su mense e banconi. Latte appena munto da animali al pascolo sulle Alpi o sulle Montagne Rocciose? Permettete di dubitarne. Questa bevanda ad alto contenuto simbolico sta subendo attacchi concentrici. Nulla è casuale e proprio ieri ho letto una notizia correlabile: un albergo di Madonna di Campiglio ha allontanato una madre che stava allattando la sua creatura. L’involontaria esposizione di pochi centimetri di seno è uno scandalo insopportabile in questa estate morigerata durante la quale, come è a tutti noto, le donne non mostrano nemmeno le caviglie, né al mare né in montagna. Quindi nei musei e nelle chiese bisognerà correre ai ripari, affrettarsi a coprire le varie Madonne del Latte, osceni capolavori dei noti pornografi Correggio e Michelangelo.

Oggi il latte naturale è aggredito così com’è aggredita la fecondazione naturale: l’uomo sempre più superbo vuole sostituirsi a Dio reinventando la vita in ogni suo delicato dettaglio, creando in laboratorio bambini, animali, piante, cibi artificiali.

Si avvicina una orwelliana Utopia scientista e si allontana sempre di più la Terra Promessa, il meraviglioso «paese dove scorre latte e miele» descritto nella Bibbia: ho riletto con attenzione i versetti dell’Esodo e l’aggettivo frizzante non compare nemmeno una volta.

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