Bank of America scivola, le Borse inciampano

Prima o poi, l’esercito di disoccupati Usa doveva presentare il conto. Per Bank of America, è salato: un miliardo di dollari di perdite nel terzo trimestre, provocate soprattutto «dall’aumento dei mancati pagamenti sulle carte di credito», come ha lamentato ieri Kenneth Lewis, numero uno del colosso bancario. Un risultato poco gradito alle Borse, che mercoledì avevano salutato le ottime trimestrali di JP Morgan e Intel con rialzi corposi, al punto da portare il Dow Jones oltre la soglia dei 10mila punti. In Europa i listini hanno lasciato sul terreno oltre l’1%, con l’eccezione di Milano che è riuscita a limitare i danni (-0,77% il Ftse Mib), mentre a New York il Dow Jones cedeva lo 0,65% a un’ora dalla chiusura e il Nasdaq lo 0,7%.
Bofa sembra aver rimescolato le carte sulla ripresa. E anche il calo degli utili di un altro gigante come General Electric (2,42 miliardi di dollari contro i 4,3 dello stesso periodo dell’anno precedente) è un ulteriore elemento di preoccupazione, perchè la flessione è imputabile al crollo del fatturato della divisione finanziaria GE Capital. C’è quindi un’area ancora sotto forte stress negli Usa. E con un tasso di disoccupazione ormai prossimo al 10%, è difficile ipotizzare un miglioramento a breve. Gli stessi conti di Bofa non solo rivelano situazioni di insolvenza derivate dalle precarie condizioni del mercato del lavoro, ma anche la tendenza degli americani a utilizzare molto meno rispetto al passato le carte di credito. La mancanza di lavoro, o il timore di perderlo, erode automaticamente il potere d’acquisto e porta di conseguenza a spendere di meno. Lawrence Summers, consigliere economico del presidente Barack Obama, nel ricordare ieri come il sistema finanziario abbia bisogno di un cambio «radicale di regole», ha anche sottolineato che gli istituti finanziari aiutati dal governo (e tra questi c’è anche Bofa) «possono e devono contribuire a tutelare gli americani».
L’umore dei consumatori, d’altra parte, non sta migliorando. Anzi: l’indice sulla fiducia è calato in ottobre a 69,4 punti dai 73,5 di settembre, sorprendendo gli analisti e mettendo in ombra il buon andamento della produzione industriale, migliorata dello 0,7% il mese scorso dopo il +1,2% di agosto (rivisto da +0,8%). La Fed ha previsto che nei prossimi due anni non si assisterà a un apprezzabile miglioramento del problema della disoccupazione. Resta da vedere per quanto tempo l’America sarà in grado di farsi carico dei circa 15 milioni di senza lavoro, un’autentica spina nel fianco per Obama.
C’è però un altro fronte aperto per la Casa Bianca, ed è l’indebolimento del dollaro. Il segretario Usa al Tesoro, Tim Geithner, ha ammesso ieri che il ruolo di valuta di riserva del biglietto Usa comporta «responsabilità e obblighi particolari» per impedirne un’eccessiva perdita di peso sui mercati. Nell’ultimo G7 di Istanbul, dietro sollecitazione dell’Europa, Geithner aveva dichiarato l’interesse Usa nei confronti di un dollaro forte.

Da allora, la valuta americana ha continuato a deprezzarsi (ieri l’euro ha toccato i massimi da 14 mesi a 1,4967 dollari prima di ripiegare a 1,4898), e l’Unione Europa ha manifestato la propria preoccupazione attraverso il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker: se la moneta unica continuerà a rafforzarsi, ha spiegato, rischierà di «rallentare la ripresa economica».

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