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Barack, Zapatero e Cameron La caduta «dell’uomo nuovo»

diPotremmo chiamarlo il crepuscolo degli dei: travolti dalla crisi economica, dalla propria insipienza e da scandali vari, oggi nessuno dei leader dei grandi Paesi occidentali ha molte probabilità di essere rieletto. Neppure Obama, salutato tre anni fa come il nuovo messia e accusato oggi di non sapere gestire l’emergenza del deficit. Neppure Angela Merkel, che è sì alla guida del Paese più prospero d’Europa, ma continua a perdere una elezione regionale dopo l’altra e viene processata ogni giorno per i suoi tentennamenti. E neppure l’ultimo arrivato sulla scena, il britannico Cameron, lodato per l’energia con cui ha saputo imporre ai suoi connazionali una politica di risanamento lacrime e sangue, ma scivolato malamente sulla buccia di banana dei rapporti con Murdoch.
C’è chi, come lo spagnolo Zapatero, ha avuto l’onestà di prendere atto del proprio fallimento e gettato la spugna in anticipo, ritirandosi dalla politica a poco più di cinquant’anni. Ma gli altri non hanno intenzione di mollare la presa. Obama, Cameron e Sarkozy sono al loro primo mandato, sono arrivati al potere con grandi progetti e grandi speranze e lotteranno con le unghie e coi denti per non essere mandati subito a casa. Sono ancora giovani, pieni di energia e di ambizioni, ma in un momento difficilissimo per il mondo intero, in cui non si può fare dell’ordinaria amministrazione e servirebbero tanto dei leader veri, capaci di colpi d’ala, hanno rivelato tutte le loro carenze. Chi, a suo tempo, aveva avvertito il pericolo di mandare alla Casa Bianca un uomo politico che non aveva mai amministrato neppure un Comune ha infine avuto ragione: alle prese con la maggiore emergenza economica della storia degli Stati Uniti, Obama ha accumulato una serie di errori, dal varo intempestivo di una costosa riforma sanitaria a una gestione del Congresso a dir poco inadeguata. Di fronte alla realtà dei numeri, la sua brillante retorica e il suo carisma di primo presidente nero servono a poco o nulla. Se anche riuscirà ad evitare il famigerato default, una soluzione duratura ai problemi del deficit e della disoccupazione sembra fuori dalla sua portata; e se non fosse che finora i repubblicani non hanno trovato un candidato valido da opporgli, le sue speranze di rielezione sarebbero davvero scarse.
E che dire di Sarkozy? Arrivato al potere con l’intento di rinnovare la Francia, si è presto arenato e ora rischia addirittura di non arrivare al ballottaggio nelle prossime elezioni presidenziali. Al contrario degli altri leader, non gli è mancato il decisionismo, ma raramente ha portato a casa risultati. Per arginare il calo di popolarità, si è talvolta buttato - come nel caso della guerra a Gheddafi - in avventure rischiose e forse controproducenti. In economia, ha cercato di assumere un ruolo di guida in Europa, ma intanto i conti pubblici della Francia sono peggiori dei nostri. E adesso, come insinua il perfido «Canard Enchainé», è ridotto a sperare nell’effetto mediatico dei gemelli di Carlà.
Se riuscirà a superare l’attuale tempesta, il conservatore Cameron è forse quello che ha maggiori possibilità di riprendersi. Ha messo le basi per aggiustare i conti del Paese (si è ritrovato con deficit intorno al 10% del PIL!), ma è handicappato dal fatto di guidare un governo di coalizione con un partito liberaldemocratico che su molti punti non condivide le sue idee. In politica estera rimane un’incognita, anche se la decisione di seguire Sarkozy nella vicenda libica ha destato non poche perplessità. Paradossalmente, per trovare dei leader di successo, in questo momento, bisogna andare a cercarli nei Paesi di seconda fila: il polacco Tusk o lo svedese Reinfeldt, entrambi di centro-destra, entrambi riusciti a rimanere fuori dalla tempesta economica.

Ma sulle sorti del mondo pesano poco; e il problema del crepuscolo degli dei rimane in tutta la sua grandezza.

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