Il baratto impossibile fra ritiro dalla Libia e taglio delle imposte

Di solito le riforme fiscali si fanno o eliminando le spese inutili o con atti di coraggio veri e propri alla Reagan o alla Thatcher consapevoli che una minore pressione fiscale alla lunga aumenti il gettito. Generalmente si evita di farle tagliando le funzioni principali dello Stato, come ad esempio la Difesa. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, invece, vorrebbe fare la riforma delle tasse venendo via dalla Libia e magari anche da altre missioni di pace, ad esempio Libano o Afghanistan. Ora che il ministro dell’Interno, in vista di Pontida, si occupi dell’interno del suo partito non meraviglia. Ma questo non autorizza a dire di tutto. Diciamo la verità: riducendo la spesa per le missioni non si fa il taglio delle tasse. Comunque se si facesse non si possono tagliare le missioni per sempre. Anche se bastasse non sarebbe giusto, almeno con queste motivazioni.
Un trimestre di permanenza in Libia costa all’incirca 100 milioni di euro. Tremonti ha detto che per la riforma fiscale ha bisogno di 80 miliardi di euro. Siamo nell’ordine di un ottocentesimo, non c’è male. Tra l’altro questi sono soldi già spesi. Se consideriamo l’anno interno sono 400 milioni di euro. Insomma comunque la si voglia mettere si tratta di briciole delle quali, anche se si facesse, non si accorgerebbero né l’economia né - tantomeno - gli italiani. Se azzerassimo tutte le missioni risparmieremmo, a seconda dei calcoli, 1,5 miliardi di euro l’anno. Cifra già più consistente ma che sta alla riforma fiscale come l’aspirina alla cura dell’Aids. Se si vuole fare una riforma si devono tagliare le spese. Basta andarsi a leggere i rapporti della Commissione sulla spesa pubblica presieduta dal prof. Luca Antonini per capire quanto c’è da tagliare prima di pensare alle missioni di pace. C’è moltissimo da sfoltire. Certo, ci vuole il coraggio. Qui veramente. Altro che con la ritirata di Libia.
E poi che facciamo, concepiamo una riforma fiscale sui guadagni ottenuti dalla nostra ritirata da tutte le missioni di pace per sempre. Cioè: il prezzo della riforma fiscale qual è, il nostro abbandono delle missioni Nato? La non partecipazione alle missioni decise dall’Onu? Il diniego dell’utilizzo delle nostre basi aeree? Ci ritiriamo tutti in Padania forniti di elmetti anti proiettile sperando che non succeda nulla? In altre parole: i prossimi anni nel nostro bilancio pubblico non mettiamo più un euro per le missioni perché dobbiamo calare le tasse? Lo spieghiamo così a coloro che sono i nostri alleati dal secondo conflitto mondiale?
Neanche i liberisti più accaniti, neanche il teorico dello Stato minimo, Robert Nozick, hanno mai teorizzato che lo Stato possa rinunciare alle funzioni della giustizia, della sicurezza e della difesa. Per il semplice fatto che, altrimenti, si sgretola tutto. Si può discutere su una missione piuttosto che su di un’altra, sulla loro utilità ed efficacia. Si può e si deve discutere, come fanno negli Stati Uniti in questi giorni, ma non per fare la riforma fiscale altrimenti si dà l’impressione - pessima - di considerare la spesa per la difesa una spesa da tagliare in quanto marginale, non fondamentale, forse inutile. E non è così. A noi i soldi spesi in stipendi, attrezzature e mezzi per le missioni di pace sembrano soldi ben spesi.

Ben più che in pensioni milionarie, uffici ministeriali o provincie, solo ad esempio. Qui si tratta mantenere qualcuno di inutile. Là qualcuno di essenziale, magari non in quella specifica missione ma certamente nel quadro della nostra presenza nel mondo civile.

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