«Quando un carro funebre passa vuoto nella tua stessa direzione, porta sfortuna. Quando passa con la cassa o nella direzione opposta, invece, non cè alcun problema. Io a queste cose non credo più, mio marito invece...». I riti scaramantici legati a motivi o temi funebri li conosce bene, li ha imparati da ragazza, quando «ci credeva» pure lei, ma anche guardando le reazioni della gente - «in particolare gli uomini» sottolinea - quando dice che mestiere fa: seppellitrice al cimitero monumentale del Verano. Occhi scuri, sorriso aperto, lunghi capelli ricci, Barbara De Persio, 38 anni, sposata e madre di due figli, è una delle poche donne impiegate come seppellitrici nei cimiteri romani, un lavoro e un settore tradizionalmente maschili, come confermano i dati Ama. Su 111 seppellitori che lavorano a Roma, infatti, solo dodici sono donne e si dividono ogni giorno tra il lavoro dufficio, a partire dallinserimento degli ingressi di carri e marmisti, e le tumulazioni cinerarie, più leggere dal punto di vista pratico, ma molto pesanti emotivamente.
«Quando fai questo lavoro non puoi non pensare alla morte - dice - sei tutti i giorni a contatto con il dolore, a volte straziante, soprattutto quando muoiono giovani o bambini. Così quando torni a casa e guardi i tuoi figli, ti dici che devi stare più attenta, ma poi capisci che la paura non deve essere un freno». Il cimitero per Barbara è un posto di lavoro come un altro, dove si scherza con i colleghi per non essere sopraffatti dallansia: «Tra noi facciamo battute, anche macabre, magari scherziamo sul nome di un defunto o su cose che ci succedono. Non è insensibilità, ma un modo per non farsi vincere dalla tristezza». O dal peso dei commenti: «Quando dico che lavoro faccio la gente rimane stupita, qualcuno fa gesti che non voglio ripetere. Non capiscono quanto sia faticoso. Non si risolve tutto nel momento del funerale, si va dal fornire informazioni alle esumazioni e via dicendo, senza contare la reazione emotiva. È duro pure se i colleghi uomini, molto gentili, cercano di aiutarci. Io mi limito sempre a rispondere che un lavoro è un lavoro, va preso per quello che è. Certo, non era il mio sogno».
Il suo sogno, anzi, i suoi sogni, erano tutti allinsegna della creatività e dello spettacolo, dalla danza al teatro, fino ad arrivare a diciotto anni ai provini per Non è la Rai. «Da piccola volevo fare la ballerina o linfermiera come Candy Candy. Poi, invece, mi sono iscritta al liceo artistico, dopo un anno sono passata a studiare grafica pubblicitaria, ma non ho preso il diploma».
E il provino? «È nato per gioco. Una mia amica ha lanciato lidea e siamo andate in tre. Avevamo dei body rossi, ci hanno guardate di fronte e di profilo, poi ci hanno fatto sfilare. Non ne ho più saputo nulla». La passione per lo spettacolo, però, è rimasta. «A venticinque anni mi sono iscritta ad un corso di teatro, mi ha aiutato a vincere la timidezza, ma mi ha pure fatto capire che quellambiente non faceva per me. Troppe trappole e pericoli, non mi fidavo».
Non si è fidata neanche quando, mentre lavorava in albergo, un fotografo le ha chiesto di posare per un book. «Ma - ricorda - ho fatto delle foto per il casting di un film, anche lì, però, non ho più saputo nulla». Tra un tentativo e laltro, ma soprattutto, tra tanti lavori, il caso lha portata a tentare il concorso per seppellitore.
Così, nel 2005 è entrata al cimitero di Trigoria - «Un posto aperto, con tanti fiori, non sembrava di stare in un cimitero» - e da aprile scorso è stata trasferita in quello monumentale del Verano, «dove vengono tanti personaggi noti», e dove lavora ogni mattina fino alle 14. «Il lavoro qui è faticoso - dice - e impegnativo, fino ad oggi non ho avuto neppure un momento per andare a vedere le tombe più belle o famose. Non ho tempo libero. Quando torno a casa, mi dedico ai miei figli, Veronica che ha cinque anni e vuole fare la ballerina, e Massimo, che di anni ne ha due». In famiglia del lavoro sono contenti.
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