Ancora una strage in quel miserabile viaggio che dovrebbe essere della «speranza». In 271 stipati in uno dei tanti barconi che il reprobo colonnello Gheddafi ora ci spedisce dalla Libia, come fossero bombe. E lo sono per davvero, con il loro carico di dolore, paura e morte.
Sono tutti maschi, in gran parte giovani, i 25 migranti trovati cadaveri a bordo dellennesima carretta del mare soccorsa laltra notte al largo di Lampedusa. Un altro, la ventiseiesima vittima, sarebbe stato- secondo i racconto gettato in mare ancora vivo. Per punizione. Si lamentava troppo, aveva cercato di uscire da quella camera a gas sperduta tra le onde. Sarebbero state le esalazioni di kerosene fuoriuscite da motori ormai guasti a ucciderli.
È stata una telefonata partita dal cellulare di un immigrato a far scattare lallarme, quando limbarcazione si trovava a 35 miglia dall isola. Qualche ora prima un aereo della Guardia di finanza, durante un sorvolo dellarea, laveva notato e da lì la segnalazione era rimbalzata alla Guardia costiera.
Impressionante la scena: nella stiva-sala macchine, ammassati in pochi metri di spazio i cadaveri di 25 profughi africani. «Gridavano per uscire dalla botola ma venivano ributtati giù. Chiedevano aiuto perché non avevano ossigeno. Uno di loro è riuscito a uscire ma alcuni uomini lo hanno preso e lo hanno gettato in mare dove è annegato», racconta un sopravvissuto. Uno dei «privilegiati» che hanno potuto viaggiare allaria aperta. Sul barcone cerano anche ventuno bambini e trentasei donne.
«Questennesima tragedia del mare evidenzia il senso delluomo che decade, che muore proprio nel momento in cui cerca una vita migliore. Non si può rimanere insensibili davanti a quei cadaveri recuperati dentro una stiva di un barcone. Quei corpi ci devono far riflettere di cosa è un uomo e di quanto infinitamente vale», commenta amaro monsignor Domenico Mogavero, vescovo della Diocesi di Mazara del Vallo e componente della commissioni per le migrazioni della Cei.
E intanto a Lampedusa si attendono nuovi sbarchi.
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