Da Barcellona a Pechino I cinque cerchi fanno miracoli

Barcellona sembrava una anziana e ingobbita signora. Austera nei ricordi, ma grondante vetustà. Fatiscente? Certo, come si può dirlo di una signora. Poi, quel 1992, le cambiò la carta d’identità, la faccia, il fisico. Le Olimpiadi scoprirono una ragazzina tutta vita e curve ben sagomate. Vero, Barcellona era diventata una bella ragazza. Non più soltanto la «zona buena» e la «zona mala», non solo Plaza Real e le Ramblas.
Il mare non è stato più una sorta di ornamento, ma un fiore all’occhiello incastrato fra chilometri di porti e spiagge. Non più solo Gaudì e il gotico, ma anche un raid fra ristorantini alla moda che da allora divennero il centro della vita notturna, un pullulare di alberghi moderni e architettonicamente diversificati, un correre più rapido sulle strade grazie ai tunnel di Vallvidrera, l’occhio al Montjuic diventato il cuore sportivo della città. Il villaggio olimpico nel tempo sarebbe diventato un centro vitale, con appartamenti e negozi. Barcellona capitale della Catalogna, ma città del futuro delle Olimpiadi.
Fino allora il business olimpico aveva navigato tra grandi perdite e poche idee per guadagnare. Gli americani a Los Angeles ’84 ci provarono pensando al danaro più che all’immagine urbanistica. Quel genio di Peter Ueberroth si inventò i volontari, lavorò sugli sponsor e sulla tecnologia, non cambiò faccia alla città, ma cambiò la faccia del business: un profitto di 300 milioni di dollari, il primo dopo 88 anni.
Da quel momento cambiò l’idea di Olimpiade. E tutti ci provarono con risultati più o meno riusciti. Sidney ne approfittò per ricreare una città dove c’era il deserto, per portare le sue metropolitane verso territori sconfinati. Il parco olimpico di Homebush Bay è sorto come un grande parco dei divertimenti. Allora era il centro motore dei Giochi, ora è frequentemente utilizzato per avvenimenti sportivi o culturali. Santiago Calatrava ha ideato il complesso olimpico di Atene, messo mano allo stadio della «Pace e dell’amicizia» mentre la città si è ripulita, lavorato sui trasporti, metropolitane per 76 km, 130 km di trasporti su ferrovia. Il problema di Atene toccava traffico e circolazione. Nel mese delle Olimpiadi pareva di essere piombati in un altro mondo, percorsi veloci e tempi dimezzati. Chiusi i giochi è bastato un solo giorno per tornare al solito, inarrivabile caos.
Ma se Barcellona ha tracciato la via del cambiar faccia ad una città, Pechino è diventata un’altra città. Chi ci fosse capitato tra il 2007 e il 2008 avrebbe vissuto il moto perpetuo dei lavori in corso. Volevano stupire. E Pechino ha stupito per gli impianti sportivi, ma soprattutto per quell’altra faccia.

Sparite le case diroccate old China, all’occhio del visitatore si è aperta la New York dell’Oriente: palazzi, grattacieli, un mondo da guardare a naso insù. Giardini verdi e assolutamente curati. No, non maquillage. Quella era una città interamente ricostruita, se non ridisegnata, strizzando l’occhio all’Occidente. Miracolo olimpico? Forse.

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