Barenboim: «Amo quest’opera così impenetrabile»

Il direttore d’orchestra entusiasta della scelta. Il regista Chéreau: «Io e Daniel non abbiamo discusso, lui conosce la musica, io il teatro»

da Milano

Una prima della Scala assillata da minacce di scioperi, alla fine scongiurati, ma alleggerita dai patemi da «Prima della Scala». Un’apertura di stagione ricondotta alla normalità, secondo quanto accade in ogni teatro del mondo dove, in compenso, la stagione è un lungo arco che non si allenta strada facendo. Così vivono il 7 dicembre gli addetti ai lavori del Tristan und Isolde, il dramma musicale in tre atti di Richard Wagner, da oggi al Piermarini dopo 29 anni d’assenza. Patrice Chéreau, il regista dell’opera, alla richiesta di esprimersi a proposito delle tensioni scaligere, sbarra gli occhi, realizza il concetto e liquida la faccenda con un interlocutorio e assai francese: «Tensioni? Perché?», sorriso di circostanza. Pragmatico a suo modo anche il direttore d’orchestra, Daniel Barenboim, che ha ottimizzato il soggiorno milanese divulgando il suo bell’ultimo libro, La musica sveglia il tempo, con tanto di invito – sabato scorso - da Fabio Fazio.
Tristan sosta nel cassetto della Chereau & Barenboim connection da 26 anni, da quel primo incontro voluto proprio da Wolfgang Wagner, nella tedesca Bayreuth. Chereau, però, si tirava indietro «sentivo che ero troppo giovane», stessa risposta riservata a Strehler che avrebbe voluto un Tristano firmato Chéreau alla Scala.
Poi la decisione e un intero anno di studio ci spiega il regista francese che dichiara di essersi limitato a «raccontare il testo: incredibilmente intelligente». Il cuore pulsa nel secondo atto, nel corso «della grande discussione fra Tristan e Isolde che vogliono trovare un’intesa completa e decidere cosa fare della propria vita. È il momento in cui i due ripercorrono la propria storia con lei che converte Tristan alla parola e lui che converte la donna alla notte eterna insegnandole ad amare la notte e il non voler più vivere». Una pulsione di morte che Chéreau interpreta in modo freudiano. Domina poi il tema del primo sguardo, perché tutto ha inizio «quando i due si guardarono senza dirsi niente». I due personaggi non si «conoscono realmente, si sono incontrati tre volte, in coincidenza con il primo sguardo, quando suppongono di bere il veleno e nel secondo atto quando finalmente si raccontano». Opera fatti di slanci sensuali e sessuali che poi «si traducono in discussione e riflessione». Di qua Isolde, apparentemente isterica, soggetta a svenimenti, forse anoressica, di là Tristan disperatamente muto: tali fino all’incontro, quello del secondo atto appunto.
Un’opera affascinante, densa al punto da intimorire. «È così complessa che non sai da dove cominciare, ma ho imparato ad amare la complessità proprio grazie al Tristan» è la confessione di Barenboim. Tristan, opera geniale, testo spartiacque che spalanca nuovi mondi facendo parlare di un prima e un dopo Tristano. Un’opera che vive «d’ambiguità, di risoluzioni che tardano a venire, con una respirazione dove non si espira mai a sufficienza».
I cantanti, anzitutto Waltraud Meier (Isolde) e Ian Storey (Tristan), provengono dalle file delle ugole wagneriane. Domanda: come la mettiamo con l’orchestra scaligera? Barenboim affronta la questione con finezza diplomatica, mette in fila i problemi che Wagner pone agli strumentisti, loda gli orchestrali per la dedizione mostrata, per chiudere con un: «La naturalezza si acquisisce col tempo». Difficoltà che consistono nel «mantenere a lungo la concentrazione, capita che gli strumentisti debbano rimanere in attesa per decine e decine di battute». Altra considerazione. «Solo un paio di musicisti furono presenti all’ultimo Tristano alla Scala», insomma: un debutto per l’orchestra. Intesa fra podio e buca, e intesa fra palcoscenico e orchestra. «Io e Daniel non abbiamo mai discusso, lui conosce la musica più di me, ed io conosco il teatro più di lui, così ci siamo passati i segreti», spiega Chéreau. Intreccio d’intese che ha calamitato pure Richard Peduzzi, scenografo, che s’è ispirato «alla mitologia, per una scenografia che sollecita il senso dell’eternità, in parte metafisico ma allo stesso tempo molto umano». Idee nate durante le passeggiate «fra le strade di Roma e di Napoli», spiega Peduzzi che fa esordire l’opera presentando «un muro immenso che vien fuori dalla notte dei tempi», c’è un buco da dove esce un battello emergendo dalla foschia: più padana che partenopea, in realtà.
Assicurata la presenza di Giorgio Napolitano, assicurata l’assenza di Romano Prodi e Massimo D’Alema. Presenti i capi di Stato d’Austria e Grecia, ovviamente Angela Merkel, assidua frequentatrice dell’estate wagneriana a Bayreuth.

L’opera sarà trasmessa in diretta su grande schermo al Teatro degli Arcimboldi, al Teatro Dal Verme e all’Istituto dei Tumori di Milano, più teatri lombardi. In gennaio Tristan und Isolde verrà proiettato in 62 sale americane del circuito Emerging Pictures.

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