La «base» Ds furiosa contro la lista di Fassino

Nel braccio di ferro tra le segreterie locali e quella nazionale i più scontenti sono dirigenti della Brianza

Gianandrea Zagato

La lista imposta da Piero Fassino alla Quercia ambrosiana non piace. Anche se il segretario provinciale Franco Mirabelli parla di «buon equilibrio» e quello regionale Luciano Pizzetti di «rispetto lombardo delle quote “rosa”», la base è in fermento e non si rassegna al diktat subito da Roma. Anzi, il seminario «di formazione e aggiornamento» sulla «nuova legge elettorale» nella sede di via Vipacco, zona Villa San Giovanni, è l’occasione per ribadire il malcontento.
Niente di ufficiale, sia chiaro: il dibattito con rabbia inclusa per le esclusioni dalla «rosa» si svolge nei corridoi o al buffet a base di panini e Coca-Cola. È lì che avviene lo scontro con l’elenco dei sacrificati alla mano: Marilena Adamo, Stefano Draghi, Daniela Gasparini e gli altri esclusi. È lì che mentre Mirabelli spiega che «Milano ha dato molto», che «è stato raggiunto un punto fermo tra le esigenze del territorio e quelle del partito», Pizzetti vanta d’aver cercato «qualcuno che non parlasse solo ai diessini e nel filone riformista, quello dell’apertura al nuovo». Il pensiero corre a Giorgio Benvenuto, il 69enne ex segretario Uil, capolista al Senato. «Quando l’abbiamo saputo, be’ li avremmo appesi al muro» confida però un segretario di sezione, mentre un vecchio militante senza ironia ricorda il curriculum del neo-capolista e sentenzia che «dovremmo avere lo stesso motto degli alpini: “di qui non si passa”».
Dichiarazioni a denti stretti e con la promessa dell’anonimato. Lo stesso richiesto dai dirigenti diesse della Brianza che sanno di pagare un prezzo ancora più alto per dovere obbedire ai desiderata del segretario nazionale: l’esclusione della rappresentanza a Roma di un territorio di settecentomila abitanti e «con un partito in forte crescita». Enrico Brambilla, ex sindaco di Vimercate, dimessosi perché sperava nella candidatura resta infatti a casa e, come lui, pure Loris Maconi, parlamentare uscente, che rappresentava la Provincia di Lodi.
Due casi emblematici di un braccio di ferro tra le rispettive segreterie locali e quella nazionale che, osservano gli esperti del sistema elettorale, è frutto della corsa a candidarsi a Milano perché altrimenti non si verrebbe eletti altrove. Già, la nuova legge elettorale proporzionale ribalta la composizione dei gruppo parlamentari e se nel 2001 i Ds elessero in Lombardia dieci parlamentari, stavolta - senza i collegi maggioritari - si aspettano di mandare a Roma poco meno del doppio ovvero l’esatto contrario di quello che accade in Emilia e in Toscana, dove c’è quindi prevista una drastica riduzione della rappresentanza parlamentare diessina.
Spiega della mattanza che ha colpito i milanesi e che Mirabelli tenta comunque di governare promettendo «riconoscimenti nel futuro»: «Ci sono sempre degli esclusi quando bisogna fare delle scelte, che ribadisco non ci sono però state imposte. Per Daniela Gasparini, Marilena Adamo, Enrico Brambilla e gli altri ci saranno altre occasioni per essere messi in campo, penso ad esempio alle amministrative di Milano». E così tra Senato e Camera c’è solo l’imbarazzo della scelta tra i paracadutati: Gloria Buffo, Luciano Pettinaroli, Franco Grillini, Vincenzo Visco e Giorgio Benvenuto.


Prova, quest’ultima candidatura, del tentativo Ds di scippare quell’elettorato riformista che, aggiunge Roberto Caputo, «non sembra affatto interessare la Margherita, che dopo la felice intuizione di Francesco Rutelli sembra sul tema praticare il coito interruptus».

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