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Le critiche alla Cina, la cacciata dall'Nba. E in Turchia c'è una taglia su di lui: chi è Enes Kanter Freedom

Per aver condannato gli abusi dei regimi in Turchia e Cina, la stella dei Boston Celtics si è ritrovata senza contratto a 30 anni. Nell'intervista a ilGiornale.it Enes Kanter Freedom parla di come siano molti nel mondo dello sport a preferire tacere per non essere cancellati

Le critiche alla Cina, la cacciata dall'Nba. E la Turchia ha messo una taglia su di lui Esclusiva
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Di campioni che finiscono sulle prime pagine per le ragioni più varie se ne sono visti tanti, ma non capita ogni giorno che una stella dello sport sia costretta a scappare da un paese per evitare di finire vittima di un sicario. Eppure è questo quanto è successo pochi giorni fa ad Enes Kanter Freedom, ex giocatore dei Boston Celtics che ha lasciato in fretta e furia l’Italia dopo aver ricevuto una chiamata dell’Fbi. La cosa però più straordinaria della sua vicenda è che per meritarsi un trattamento del genere non ha fatto niente a parte denunciare i soprusi ed i crimini di due dei regimi autocratici più feroci del pianeta, quelli di Turchia e Cina. Questo è stato più che sufficiente a causare enormi problemi a lui, alla sua famiglia e alla sua carriera.

Nonostante risultati in campo più che sufficienti, la franchigia di Boston non gli ha rinnovato il contratto, ponendo più o meno fine alla sua carriera a soli 30 anni. Enes, però, non se la prende più di tanto: per lui conta solo fare la cosa giusta, anche se sei abbandonato da tutto e tutti. In nome di quella libertà, la dea più amata, quella che ha voluto nel suo cognome, ha messo in gioco tutto, anche la sua stessa vita. Nonostante le minacce, continua a dire le cose come stanno e denunciare quel sistema che, anche nel dorato mondo dello sport, punisce severamente chi osi esprimere opinioni non in linea con il pensiero unico.

"Erdogan disperato, vuol farmi tacere"

Parlare con Kanter è sempre un’esperienza particolare, visto come riesce a far sembrare del tutto naturali eventi che sembrano presi da un romanzo di Ian Fleming. Quando gli chiediamo come abbia reagito quando l’FBI gli ha consigliato di tornare in fretta in America, non fa una piega. "Stavo tenendo un camp di basket al Vaticano per la prima volta quando ho sentito della taglia per la prima volta. Il regime turco mi ha inserito da anni nella lista dei ricercati ma non aveva mai fatto niente del genere. Alcuni miei amici in America e la stessa FBI mi hanno detto che la situazione poteva precipitare. La mattina dopo ero già in viaggio per New York. Mi dissero che sulle mie tracce potevano esserci sicari della mafia e che l’unico modo per essere sicuro sarebbe stato di tornare in America". Quando gli chiediamo le ragioni di questa decisione senza precedenti, Enes sembra sicuro che sia più un segnale di debolezza che di forza: "I media, i politici, le celebrità sono dalla mia parte e questo è frustrante per il regime. Stanno facendo di tutto per farmi tacere, qualunque cosa. A me non importa: continuerò a parlare per conto degli innocenti che non possono parlare. Hanno messo mio padre in prigione per sette anni, minacciato la mia famiglia, mi hanno tolto la cittadinanza, non sanno più che inventarsi. Fino a quando rimango qui, in America, non possono toccarmi e questo li fa diventare pazzi".

Enes Kanter Jazz

"Senza la libertà non siamo niente"

Enes Kanter non si immaginava certo che il suo percorso sportivo lo avrebbe portato a diventare il nemico pubblico numero uno del governo del suo paese. Voleva solo giocare al gioco che continua ad amare, quel basket che in Turchia è una specie di religione civica. Quando però, nel 2013, venne alla luce uno scandalo legato alla corruzione del partito di Erdogan, iniziò ad interessarsi alla politica. "Iniziai con un semplice tweet, un’intervista ma da quel momento seguii con attenzione quel che stava succedendo nel mio paese. Ogni volta che parlavo, il governo mi faceva sapere che non gli andava affatto bene. Le hanno provate tutte, hanno messo mio padre in galera, mi hanno revocato il passaporto, sono stato ricercato dall’Interpol, mi hanno tolto la cittadinanza ma non importa. Da quando sono arrivato in America mi sono reso conto che la libertà è il bene più importante di tutti, dopo l’acqua, il cibo e l’aria. Siamo nati liberi, non dobbiamo mai dimenticarcelo. Per questo ho voluto rendere questa parola parte di me, portarmela dietro, sulla maglia mentre giocavo, in ogni arena dell’Nba, così da ispirare i giovani, fargli capire quanto sia importante. Dovunque vado, in strada o al supermercato, la gente mi chiama 'Freedom', cosa che mi rende felice. Senza la libertà non siamo niente".

"Se parli contro la Cina sei finito"

Quando chiedo al campione turco se sia stato appoggiato, anche in maniera privata, dai suoi compagni di squadra e dal mondo del basket, la sua amarezza traspare chiaramente. Quando si è messo contro ad uno dei partner più munifici della lega più ricca del pianeta, si è ritrovato solo contro tutto e tutti. "Quando parli dei problemi seri, dei crimini di una delle dittature più feroci al mondo come la Cina, faranno di tutto per cancellarti. Per me è sempre stato importante tenere la schiena dritta e dire le cose come stanno. Sfortunatamente, però, quelli che chiamavo fratelli, molto più di semplici compagni di squadra si sono sfilati uno alla volta. Un giorno erano miei fratelli ma quando in gioco c’erano i soldi e gli affari, i principi e la morale non contavano più. Questo fa male perché so che sono delle persone straordinarie. D’altro canto vogliono un nuovo contratto, nuovi sponsor, hanno paura di perdere tutto. La mia è una strada solitaria ma ogni tanto succede. Talvolta nella vita nessuno ti può seguire nelle tue battaglie, né la tua famiglia, né gli amici, rimani da solo col tuo Dio. Va bene anche così".

Enes Kanter Portland

Un atteggiamento fin troppo magnanimo, che però lascia il posto ad una certa acredine quando si parla di come, secondo molti, le critiche aperte alla Cina, alla persecuzione degli Uiguri e alle pratiche discutibili di certe multinazionali siano state una grossa parte nella decisione di Boston di non rinnovargli il contratto. Per come la vede lui, il messaggio che volevano mandare era semplice: chi si mette contro la Cina è finito. "Nessuno aveva mai detto niente contro il governo cinese, era la prima volta nella storia dell’Nba. Nella lega si può parlare di tutto quel che ti pare tranne che di quello che succede in Cina. Quello è off limits. Questo spiega come mai nessuno abbia deciso di denunciare i crimini cinesi e gli evidenti abusi dei diritti umani che stanno avvenendo in questo momento. Sono certo che se un altro giocatore decidesse di farsi avanti e dire qualsiasi cosa contro il governo cinese farebbe la mia stessa fine, sarebbe ostracizzato dall’oggi al domani".

"Gli sportivi devono parlare"

La cosa che intristisce non poco i tifosi stagionati degli sport americani è come, nel giro di pochi anni, le leghe siano passate dalle parole di Michael Jordan “anche i repubblicani comprano scarpe da tennis” all’attivismo sfrenato dei nostri tempi. È davvero impossibile tornare agli anni ‘90, quando si poteva parlare solo di sport senza per forza buttarla in politica? Kanter non è ottimista. "Io non parlo mai di politica, solo di diritti umani, c’è una enorme differenza. In un clima così polarizzato appena ti schieri rischi di perdere metà del tuo pubblico. Ho sempre voluto parlare solo delle violazioni dei diritti, del destino di tanti prigionieri politici, così da essere inattaccabile. Credo che gli atleti possano fare davvero molto per rendere il mondo un posto migliore. Milioni di giovani ci seguono sui social media, dovremmo essere più responsabili, pensare a come educarli, a fargli sapere come pensare con la propria testa, distinguere il bene dal male. È una responsabilità enorme ma non possiamo evitarla. Per creare un futuro migliore dobbiamo educare le nuove generazioni. Sarebbe bello tornare a parlare solo di sport ma temo che sia troppo tardi. La politica rimarrà parte integrante dello sport".

La cosa però che gli fa perdere la pazienza è come molti atleti famosi sembrino pronti a schierarsi solo per le cause più alla moda, tenendosi per sé le opinioni più controverse. Un’ipocrisia dominante che non va proprio giù al campione turco: "Sono prontissimi a fare la morale a tutti, a denunciare questo e quello solo per le cause che non mettono a rischio il loro portafoglio. Sul resto, preferiscono rimanere zitti. Sui temi che piacciono alle persone che piacciono non vedono l’ora di parlare ma appena tocchi qualcosa che, magari, può fargli perdere uno sponsor, dalle violazioni dei diritti umani in Cina al lavoro minorile in certe fabbriche della Nike, fanno finta di niente. Sanno bene che se dicessero le cose come stanno sarebbero cancellati, hanno paura ed è un vero peccato".

Anche i media non sono immuni da colpe ma secondo Kanter la colpa è del sistema, che quando in ballo ci sono i soldi non ammette voci contrarie. "Nessuno va contro la narrativa, guarda come si comportano i giornalisti che seguono l’Nba. Hanno tutti paura di fare domande serie ai giocatori perché sanno che se parlassero di diritti umani, di quel che sta succedendo in Tibet, ad Hong Kong, dei dubbi sui vaccini, sarebbero cacciati dalla sala stampa. Questa ipocrisia la trovo davvero intollerabile, come chi prova a farsi bello con le solite cause alla moda. Non facciamoci illusioni: tutte le domande che arrivano a gente come LeBron James o Cristiano Ronaldo sono state scrutinate dalle società e rese inoffensive. È tutta una farsa e farò tutto quello che posso per smascherare questa sciarada".

Enes Kanter draft

Un futuro in Eurolega? Difficile

A trent’anni difficile accettare un futuro senza basket per uno come Kanter, che ha dedicato la vita a questo sport e che sarebbe in grado di fare la differenza sul parquet. Nonostante la speranza sia l’ultima a morire, Enes non è molto ottimista a riguardo. "Ho 30 anni, posso giocare ad alto livello altre cinque o sei stagioni ma non mi è permesso. Io però non mollo, per questo non ho annunciato ancora il mio ritiro dallo sport. Amo il basket, penso che sia un modo straordinario per avvicinare gente di ogni razza e credo. Purtroppo non credo di avere un futuro nella Nba, viste le grandi pressioni che ricevono ogni giorno dal governo cinese. Molti mi chiedono se potrei avere spazio in una squadra dell’Eurolega ma non so se sia davvero possibile. Ci sono almeno due ragioni che rendono molto complicato un ritorno in Europa. Non solo l’Eurolega è sponsorizzata dalla Turkish Airlines ma sarebbe anche un grosso problema dal punto di vista della mia sicurezza personale. Viaggiando così spesso in così tanti paesi sarebbe troppo facile per i sicari del regime farmi del male. Adoro il basket, rimane la mia vita, ma non so se tornerò a giocare".

Kanter si terrà di certo impegnato, lavorando per la sua formazione e tenendo basket camps dovunque gli sarà permesso. "Mi piace lavorare coi ragazzi, sono il nostro futuro e tutte le minacce del mondo o le taglie non riusciranno a fermarmi. Tra un mese spero di poter andare di nuovo all’estero e far sorridere tanti bambini in tutto il mondo. Ricordo un camp che abbiamo organizzato a Gerusalemme, uno dei migliori che abbia mai tenuto: c’erano cristiani, musulmani, ebrei, palestinesi e tutti che giocavano insieme e si divertivano". Un futuro diverso da quello che si aspettava, forse, ma non abbastanza per far perdere l’ottimismo e il buon umore a Kanter.

Il messaggio che vuol mandare ai suoi tifosi in Italia è semplice: "Non importa da dove vieni, il colore della pelle, la tua religione o la tua cultura, le differenze tra di noi sono irrilevanti. Abbiamo un solo mondo a disposizione, dobbiamo trovare quel che ci unisce più che quello che ci divide. Lavorando insieme riusciremo a rendere questo un mondo più giusto e migliore per tutti". Parole che forse ti aspetteresti più da un filosofo che da un cestista. D’altro canto, però, nessuno ha mai accusato Enes Kanter Freedom di essere uno come tanti.

Nel bene e nel male, difficile non sperare che siano sempre di più gli sportivi a sfuggire all’ortodossia del pensiero unico e dire le cose come stanno.

Magari non sarà sempre necessario finire nel mirino dei regimi peggiori al mondo ma un minimo più di onestà potrebbe far bene non solo al mondo dello sport ma alla nostra società in generale.

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