
La parola “longevità”, quando associata alla dieta, evoca spesso immagini poco invitanti: minestroni sconditi, insalate tristi, piatti che promettono salute al prezzo del gusto. A ribaltare questo immaginario ci penserà il prossimo Congresso Mondiale di Nutrizione IUNS – ICN 2025, che si terrà a Parigi dal 24 al 29 agosto e che ogni quattro anni raduna esperti da tutto il mondo. Nel programma del simposio per la prima volta dal 1948 fa il suo ingresso ufficiale nel programma scientifico la Medicina Culinaria, disciplina che prova a unire ciò che finora è stato tenuto separato: nutrizione e gastronomia.
A guidare il simposio c’è Chiara Manzi, pioniera di questa materia in Europa, insieme al dottor Daniele Mandrioli, direttore del Centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” dell’Istituto Ramazzini. Il titolo scelto è eloquente: “Culinary Medicine: Gastronomy Joins Nutrition for a Sustainable and Delicious Diet”. Un manifesto che annuncia un cambio di passo: la dieta non come percorso di privazioni, ma come pratica sostenibile, fondata sul piacere e sulla consapevolezza.
Il simposio promette di tradurre in ricette e metodi pratici una tesi semplice quanto dirompente: non esiste piatto che non possa essere riformulato in chiave sana, senza per questo rinunciare al gusto. Anzi, la cucina può trasformarsi in strumento di prevenzione, fino a diventare parte integrante della medicina. La carbonara, la pizza o il gelato – simboli spesso bollati come “nemici della salute” – vengono ripensati alla luce di tecniche scientifiche che consentono di ridurre zuccheri, grassi o sostanze critiche, mantenendo inalterato il piacere della tavola.
Non è un esercizio teorico. Il programma prevede non solo relazioni scientifiche, ma anche strumenti pratici: ricette, video, metodi di cottura, linee guida utili a professionisti della salute, chef e cittadini comuni. In altre parole, la Medicina Culinaria non punta a costruire un’ennesima dieta, ma un approccio quotidiano al cibo che sposi rigore e piacere.
Il contributo di Mandrioli porta al tavolo il lavoro di anni di ricerca sugli effetti delle sostanze chimiche presenti negli alimenti – dai pesticidi ai dolcificanti – con una rete di collaborazioni che va dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quello di Manzi, invece, traduce la scienza nella pratica dei fornelli, con una particolare attenzione alla tradizione gastronomica italiana. Non a caso, il simposio guarda al patrimonio della cucina mediterranea come modello ideale per coniugare gusto e benessere.
Dietro la formula della “longevità felice” c’è l’idea che la salute non si misuri soltanto in anni guadagnati, ma nella qualità del tempo vissuto. Una prospettiva che cerca di superare l’equazione tra benessere e sacrificio, che per decenni ha condizionato tanto i protocolli medici quanto le abitudini domestiche. La nuova frontiera, spiegano i promotori, non è vivere a lungo rinunciando, ma vivere meglio senza sensi di colpa davanti al piatto.
Il congresso segna quindi l’ingresso di una visione che si candida a cambiare le regole del gioco: la cucina non più ridotta a variabile di contorno nelle strategie di salute pubblica, ma riconosciuta come strumento centrale di prevenzione.
Una rivoluzione gentile, che non riguarda solo i laboratori scientifici, ma chiunque si sieda a tavola.
Perché, in fondo, la domanda da cui parte tutto è elementare: che senso ha parlare di salute, se la strada per ottenerla toglie la gioia di mangiare?