Roma - Professor Bassanini, ha vinto Nicolas Sarkozy?
«Il premier francese ha scelto un terreno buono. In politica è importante scegliere i terreni su cui ingaggiare le battaglie».
In Italia si combatte sui terreni sbagliati?
«Sarkozy ha capito che sono necessarie grandi riforme, da affrontare con grande determinazione. E per far questo bisogna avere una maggioranza politica solida ma accettare l’apporto, le idee, di tutti».
Lei è stato scelto da Sarkozy per far parte, con Mario Monti, della commissione «Attali» per le riforme e contro i freni che impediscono la crescita. Come sta reagendo la Francia alla «rupture»?
«Una volta sono arrivato al Charles de Gaulle e tutti i tassisti erano fermi con le braccia incrociate. Mi hanno detto: scioperiamo contro la commissione che vuole liberalizzare i taxi. La mia! Io ho fatto l’indiano e sono salito sulla metropolitana. I sindacati francesi sono più corporativi di quelli italiani. Ma la verità è che Sarkozy ha scelto una questione ideale per avviare il braccio di ferro. È stato abile».
Perché?
«La difesa dei regimi speciali pensionistici non è sostenibile, i francesi lo sanno. Si tratta di un milione e mezzo di lavoratori francesi di cui, però, solo una parte è impiegata in lavori usuranti».
Sarkozy sapeva che anche con una linea dura non sarebbe stato impopolare?
«Sarkozy unisce una forte determinazione a una capacità di mediazione. Quest’estate ha dovuto cedere molto sulla legge di disciplina dello sciopero. È stato un aspetto debole della sua politica. Voleva fare una legge sul modello italiano, ne avevamo parlato. Adesso la maggioranza dei francesi è con lui, il terreno è giusto».
Qual è la filosofia della «rivoluzione» francese? E perché secondo lei in Italia è improponibile?
«Di fronte alle grandi sfide di questo periodo, come la globalizzazione, le economie asiatiche, il terrorismo, la questione climatica, la risposta di Sarkozy è stata: è sbagliato ritrarsi inorriditi, occorrono grandi riforme da affrontare in fretta e da realizzare con determinazione».
E poi?
«Sarkozy ha proposto: chiamiamo tutti quelli che possono dare delle idee, perché è una grande missione collettiva. Quindi ha formato queste commissioni composte da gente di destra come di sinistra, da tutta Europa, come quella di cui faccio parte io. È una commissione gratuita. A me e a Monti rimborsano solo le spese di viaggio».
In Italia sarebbe difficile...
«In Italia solo alcuni leader che hanno forse più fiuto degli altri, come Berlusconi e Veltroni, stanno capendo un po’ che l’opinione pubblica ne ha abbastanza del fatto che tutto si debba risolvere dividendo la gente. Un’altra idea di Sarkozy è che la crescita sia fondamentale per produrre più ricchezza, e dunque per la tutela dei più deboli, per la difesa del Welfare, per dare la scuola a tutti. Un punto che bisogna affrontare così anche in Italia».
Quali sono i freni che impediscono le riforme in Italia?
«Liberalizzazioni: c’è ancora molto da fare. Poi la scuola, dove l’Italia è indietro rispetto alla Francia. La pubblica amministrazione: poco efficiente e costosa. Bisogna avere il coraggio di far valere nel pubblico le regole di produttività».
Come?
«Per i francesi un fannullone non può essere licenziato. In Italia abbiamo i mezzi per farlo, con il consenso del sindacato, ma il meccanismo non è scattato. Anche quando abbiamo delle buone idee manca il governo che abbia la solidità per realizzare con forza le riforme. Abbiamo un sistema elettorale che le impedisce».
Quindi i freni italiani sono più politici che corporativi?
«In Italia occorre capire che una democrazia moderna è fatta di confronto tra maggioranza e opposizione. Questo vuol dire che quando uno vince le elezioni con 24mila voti non deve alzare un muro per cui quelli che stanno dall’altra parte non esistono...».
Sta parlando del governo Prodi. Non c’è «rupture» senza dialogo?
«La Francia ha il vantaggio di avere un sistema elettorale molto migliore: ha avuto la possibilità di esprimere un capo del governo forte che ha in Parlamento la maggioranza per attuare il suo programma.
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