Rotterdam - C’è chi va al mare e chi sul Tourmalet. Chi decide di andare alla ricerca di un po’ di refrigerio e chi non vede l’ora di finire sotto la canicola della torrida estate del Tour. Come Ivan Basso, 32 anni, fresco vincitore del Giro d’Italia, che anziché godersi il meritato riposo sotto un ombrellone ha preferito ributtarsi nella mischia. «Non ho più tempo da perdere, ne ho già perso a sufficienza», dice lui con quel sorriso da ragazzo per bene, che per due anni è stato all’inferno e per altri due in purgatorio.
«Era il 30 giugno 2006, io venivo dal secondo posto dell’anno prima, quando Lance Armstrong aveva lasciato il ciclismo con un saluto in mondovisione dal podio dei Campi Elisi. Lui - il signore dei sette Tour - con il microfono in mano e io appena dietro, con Domitilla, la mia bimba, ad ascoltare le sue parole. Per Lance il futuro del Tour ero io, invece esattamente dodici mesi dopo per me non c’era più né futuro tantomeno presente: via come un ladro, prendendo un’uscita secondaria dell’Holiday Inn di Strasburgo. Via dal Tour come un vero farabutto, a bordo di una Passat grigia con gli occhi arrossati e il cuore a pezzi».
Ora però il cerchio si chiude.
«Comunque vada il cerchio si chiude proprio qui a Rotterdam. Torno al Tour de France dopo quattro anni. E ci sono tornato con l’abito nuovo e a testa alta. Questa corsa mi ha dato tanto. Dal 2001 al 2005 mi sono dedicato sempre e solo a lei. L’amore per questa corsa è sconfinato: maglia bianca di miglior giovane nel 2002, terzo nel 2004, secondo nel 2005. Io so che posso correre un grande Tour. So di averne i mezzi e i numeri. Non m’interessa ciò che dicono: io vado per la mia strada. Io vado dove mi porta il cuore. E il cuore mi ha portato qui».
Difficile battere però uno come Contador.
«Non ci sono dubbi: Alberto è il grande favorito. Dopo di lui, appena sotto metto i due fratelli Schleck: Andy e Franck. Poi un’altra bella coppia, quella Rabobank con Menchov e Gesink. A questi due vanno aggiunti Evans e Sastre, sempre che Carlos non sia penalizzato da problemi alla schiena (ernia al disco). Poi Wiggins, Armstrong e Samuel Sanchez. Mi sbaglierò, ma da questi nomi salterà fuori il podio del Tour. Io spero di esserci».
Felice Gimondi, ma anche il neo Ct Paolo Bettini, dice che avrebbe fatto meglio a restarsene a casa a gustarsi la vittoria del Giro: chi gliel’ha fatto fare?
«L’ambizione, la voglia di rimettere al proprio posto alcuni tasselli. La voglia di recuperare il tempo perso».
È un Tour che ricorda molto il Giro.
«È vero. Il via dall’Olanda, come al Giro. Le prime tappe insidiose: con vento e pavé. A proposito, non mi piace neanche un po’ la tappa di Aremberg (la terza, la Wanze-Arenberg, km 213, ndr), dove questo Tour lo si può perdere per una caduta. Spero di non uscirne con le ossa rotte. Nel complesso, però, è un tracciato che mi piace. Un prologo, nove tappe pianeggianti, sei di montagna, con tre arrivi in quota. Quattro tappe miste, una sola contro il tempo (52 km): c’è di che sbizzarrirsi. Un Tour che si costruisce sulle Alpi e si deciderà sui Pirenei. Tanti avversari, tante squadre attrezzate, tanta tensione agonistica: è il Tour».
Armstrong o Contador?
«Armstrong è un amico, Alberto un grandissimo corridore. Lance è tosto, caparbio, calcolatore. Alberto ha dimostrato però di non essere da meno. Io però dico solo un nome: Basso».
E se dovesse andare male?
«Pazienza. L’importante è lottare, stare lì con i migliori.
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