Antonio Signorini
da Roma
Per prendersi la rivincita su chi li aveva dati per spacciati sono andati al Quirinale. A Carlo Azeglio Ciampi, un entusiasta dei distretti industriali, gli esponenti del Club che li rappresenta hanno spiegato che la situazione del Paese non è così nera come viene descritta. E che proprio dal punto di osservazione delle medie e piccole imprese, le più esposte alle sfide della competitività, «la ripresa cè».
«I segnali di recupero si sono registrati un poovunque», ha spiegato il presidente di Distretti Italiani Paolo Terribile al termine dellincontro con il presidente della Repubblica, il tre marzo scorso. E le notizie positive sono arrivate anche da quei distretti che secondo molti hanno un destino segnato: soccombere di fronte alla concorrenza cinese e indiana.
In primo luogo la moda, «uno dei settori che ha risentito in misura maggiore della crisi a causa dellincidenza della mano dopera. Ora - assicura Terribile - si sta riprendendo. E segnali positivi arrivano anche dai distretti più esposti come quello tessile di Prato e quello della lana di Biella. Siamo in una fase di ripresa, anche se ci sono ancora delle difficoltà», spiega.
Non si tratta di una tendenza ininfluente, visto che i distretti rappresentano una bella fetta delleconomia italiana: il 45 per cento del prodotto interno lordo nazionale e il 39 per cento delloccupazione. Per il momento gli indicatori tradizionali non hanno ancora registrato le novità positive, ma per gli addetti al settore i segnali sono chiari, come la crescente fame di materie prime per fare fronte agli ordini. Uno dei pochi problemi che i distretti hanno segnalato a Ciampi.
La sfida rimane sempre quella della qualità. E da questo punto di vista, osserva Terribile, la crisi di inizio millennio è stata «salutare»: «Non potevamo più continuare a fare prodotti come gli altri, senza un valore aggiunto determinate come la qualità e il buon gusto che sono da sempre associati al made in Italy».
«Leconomia italiana - spiega Aldo Durante, rappresentante del Distretto Sportsystem di Montebelluna - è ancora basata sulla piccola e media impresa e i distretti sono leccellenza delle Pmi. Ma cè sempre qualcuno che suona le campane a morto per i distretti. Forse perché non abbiamo un riferimento e un volto come può averlo la grande impresa di famiglia, facciamo notizia solo quando qualcosa non va». Invece le notizie positive non mancano. Ad esempio, gli fa eco Terribile, «il sistema italiano della moda e delle scarpe, nel 2005 ha fatturato più dellindustria tedesca delle auto». Senza contare lexport. Le stime sul contributo dei distretti allaffermazione del made in Italy nel mondo vanno dal 40 al 47 per cento.
I rappresentanti dei distretti rispondono anche a chi li accusa di essere cresciuti perché le aziende che ne fanno parte hanno trasferito allestero gli impianti di produzione. «Abbiamo iniziato a delocalizzare 25-30 anni fa e ormai - assicura Durante - è un processo controllato». E, in alcuni casi, incentivato, perché ritenuto una condizione necessaria per levoluzione delle piccole imprese italiane. «In cinque anni di legislatura - spiega il viceministro alle Attività produttive Adolfo Urso - abbiamo contribuito a realizzare dodici distretti industriali italiani allestero: da quello plurisettoriale di Brcko in Bosnia a quello del mobile arredo a Uberlandia in Brasile. Abbiamo stanziato per il 2006 8,5 milioni di euro».
Il maggior contributo del governo è però la legge approvata con lultima Finanziaria che dà ai distretti la veste ufficiale di «libere associazioni di imprese». Concretamente, si dà la possibilità alle aziende che ne fanno parte di avere una base fiscale e una contabilità unificate. E anche di unire le forze per il ricorso al credito o al mercato finanziario. I distretti potrebbero, in sostanza, agire come delle grandi aziende.
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