da Roma
Presidente Bianco, che effetto le fa aprire i quotidiani da un mese a questa parte e trovare sempre una o due pagine dedicate a lei e alla sua proposta?
«C’è una sorta di scissione quando leggo della Bozza. Ormai mi sembra una sorta di entità che esiste a prescindere da me e dagli altri professori, come Antonio Agosta, e funzionari di grande livello che ci hanno lavorato».
Dopo la tempesta iniziale, ora le prospettive sembrano volgere al bello.
«Sono sufficientemente scaramantico per aspettare ancora. In una maratona come questa l’ultimo miglio è quello più delicato, so benissimo che in ogni momento può esplodere un nuovo problema».
Ma ci ha fatto un po’ la bocca a diventare il padre della nuova legge?
«Sarebbe un motivo di personale orgoglio se il mio quotidiano esercizio di equilibrio e prudenza portasse a un risultato. Come presidente di Commissione rivendico lo sforzo di essere stato il più possibile super partes senza mai partecipare a una riunione di maggioranza».
Ci racconta la genesi di questo documento?
«Il mio punto di partenza personale era il maggioritario a doppio turno. Ma preso atto che non c’era maggioranza mi sono mosso con sano pragmatismo, prefissandomi tre obiettivi: ridurre il frazionamento delle forze politiche che è il peggiore dei difetti del nostro sistema. Garantire la governabilità attraverso un bipolarismo maturo e non rigido che assicuri coalizioni meno eterogenee. Assicurare agli elettori un intervento più diretto nella scelta di chi li rappresenta».
Gli elettori, appunto. Secondo lei ci stanno capendo qualcosa?
«Più di quanto fosse lecito supporre. Registro continuamente un consenso sull’esigenza di farla finita con le liste pre-confezionate e semplificare il sistema a 5-6 forze politiche al massimo».
C’è chi dice che la bozza Bianco è come il Pongo, può prendere la forma che si desidera con l’aggiunta di due o tre emendamenti.
«L’ho costruita appositamente così, è un merito non una critica. In una condizione in cui nessuno si parlava era necessario presentare un documento che avesse un forte grado di adattabilità e di flessibilità».
Arrivare a una proposta comune della maggioranza, prima del confronto con Berlusconi, è un sogno irrealizzabile?
«Più ampio è il consenso e più è meglio. Dubito che si possa arrivare all’unanimità ma si può tener conto delle osservazioni critiche senza stravolgere l’impianto».
Ci sono pressioni incrociate: da una parte il fronte dei proporzionalisti; dall’altra Fini che chiede l’indicazione preventiva del premier.
«Quello che mi conforta è che le richieste vengono avanzate con spirito largamente costruttivo. Terrò conto di queste osservazioni e voglio rassicurare Fini. L’assetto che uscirà dalla nuova legge sarà bipolare. Le mani libere che Fini paventa non sono possibili. Se lo immagina un leader che fa sessanta giorni di campagna elettorale senza dire con chi sta? Io stesso ho previsto che ogni forza politica indichi il suo candidato premier e il programma».
Fini chiede di trasformare questa opzione in un vincolo.
«Se c’è la possibilità di ridurre il rischio mani libere e si trova il consenso volentieri».
Come si tiene insieme la volontà di snellire il sistema e il desiderio di sopravvivenza dei «nanetti»?
«Io vengo da un piccolo partito, i repubblicani, e talvolta riuscivamo a influenzare il sistema, al di là del peso elettorale. In ogni caso non è necessario e non è assolutamente nelle intenzioni far scomparire i piccoli partiti ma convincerli a un processo di aggregazione, come è avvenuto con il Pd. Così com’è il sistema non funziona, per questo non sono disposto ad abbassare la soglia di sbarramento.
Alla fine ci sarà il premio per il primo partito?
«Si inizierà con un testo base. Durante il percorso attraverso gli emendamenti sarà possibile sottoporre il premio alla prova dell’aula».
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