
Gentile direttore Feltri,
in questi giorni non si parla d'altro che dell'incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska. Mi sembra però che l'atteggiamento della stampa e dei media occidentali sia quasi uniformemente negativo, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in partenza nel vedersi e parlarsi. Io vorrei capire la sua opinione, perché mi fido del suo giudizio: davvero c'è motivo di tanto allarme o, al contrario, non potrebbe essere l'inizio di qualcosa di positivo?
Francesco Ricci
Caro Francesco,
lo scetticismo che domina i commenti di giornali e televisioni occidentali sul vertice tra Trump e Putin non mi stupisce: da anni, qualunque cosa faccia Trump viene bollata come nefasta, inutile o addirittura pericolosa, semplicemente perché la fa lui. È un riflesso condizionato, non un'analisi. Invece, se abbandoniamo il pregiudizio, l'incontro in Alaska va letto per quello che è: un passo preliminare indispensabile per avviare un vero negoziato sulla guerra in Ucraina.
È un incontro per rompere il ghiaccio, e non lo dico a caso. L'immagine del disgelo richiama la Guerra Fredda, quando due blocchi nemici seppero comunque aprire canali di dialogo per evitare di farsi saltare a vicenda. Oggi il rapporto tra Mosca e l'Occidente, incarnato dagli Stati Uniti, è completamente congelato: Putin non lo ha più incontrato nessun leader occidentale negli ultimi anni. Questo summit serve proprio a rompere quella lastra di ghiaccio.
Non è e non può essere un negoziato a porte chiuse per imporre la pace a Zelensky. Nessuno, e sottolineo nessuno, può pensare di escludere Kiev da un eventuale accordo. E la ragione è semplice: la pace dovrà essere firmata e accettata dalle due parti in guerra, altrimenti è carta straccia. Questo incontro è un passo preliminare, necessario, che prepara il terreno. Solo chi non ha mai trattato nulla in vita sua può pensare che si salti subito al contratto finale senza prima parlarsi in separata sede.
In più, va detto, anche se sembra quasi vietato, che i toni usati da Putin alla vigilia di questo incontro sono stati sorprendentemente moderati. Ha parlato di «fase successiva» nei rapporti e di possibilità di intese sul controllo delle armi strategiche. Non ha sparato minacce, anzi ha lasciato intravedere un'apertura. Paradossalmente, Trump è stato più duro: gli ha fatto capire che certe condizioni dovrà accettarle, altrimenti le conseguenze non saranno piacevoli. Insomma, i ruoli per una volta si sono invertiti, e questo dovrebbe far ben sperare.
Sia chiaro: un accordo richiede concessioni reciproche. Kiev dovrà rinunciare a qualcosa, così come Mosca. È l'abc di ogni trattativa. Chi pensa che si possa arrivare alla pace imponendo tutto a una parte e niente all'altra vive nel mondo delle favole. Un negoziato vero significa che entrambe le parti devono ammorbidire le loro posizioni e trovare un punto d'incontro.
Non capisco, dunque, questa smania di dipingere il vertice come un rischio o un tradimento. Il vero rischio è rimanere immobili, con le relazioni congelate, e lasciare che la guerra continui a macinare vite.
Io preferisco vedere nel summit in Alaska un'occasione, un segnale che qualcosa si muove. Non sarà la soluzione domani mattina, ma è certamente un primo passo. E nella storia, spesso, i primi passi sono quelli più difficili e più importanti.