Basta col finto buonismo Sì ai blocchi anti sbarchi

Sarebbe utile anche solo per un momento ragionare a mente fredda su quello che succede in questi giorni a Lampedusa, guardando a cause e conseguenze. Sarebbe utile, anche solo per un momento, se l’opposizione smettesse di intravedere un dividendo politico da questa emergenza e si prendesse le responsabilità che le spettano.
Per quello che riguarda i circa 20mila tunisini arrivati in Italia dalla caduta di Ben Alì lo scorso 14 gennaio, il danno è fatto e sarà molto difficile rimediare. Il caos politico di quel paese ha reso improvvisamente più semplice per chiunque volesse già partire eludere i controlli e imbarcarsi. A questi si sono aggiunti un buon numero di evasi che non vogliono farsi riprendere quando le autorità riprenderanno il controllo. La percentuale di chi chiede asilo è in questa fase irrisoria.
Gli immigrati che da Lampedusa sono stati trasferiti a Mineo, a Manduria o a Gorizia, infatti, sono in gran parte scappati e ormai liberi di circolare per il Paese. Lo stesso accadrà molto probabilmente per quelli che verranno trasferiti in questi giorni dal ponte navale annunciato dal governo verso le regioni che hanno accettato di accoglierli.
Il problema semmai è come fermare o limitare i futuri sbarchi. In questo senso sarebbe opportuna una dichiarazione del governo in cui si dica forte e chiaro al governo di Tunisi e agli scafisti che non saranno accettati nuovi immigrati tunisini. Dalla Tunisia non si fugge per disperazione o perché si è minacciati: la stragrande maggioranza di chi è arrivato a Lampedusa spera di andare in Francia dove ha amici o parenti. Ma, come si è visto, quelli che riescono ad arrivare alla frontiera di Ventimiglia vengono brutalmente respinti dalla Gendarmerie francese.
Non ci dovrebbe essere perciò nessuna remora a parlare di blocchi navali da imporre in acque territoriali tunisine con lo scopo di riportare a terra le imbarcazioni appena salpate, proteggendo così i nostri confini di mare con la stessa decisione con cui i francesi fanno rispettare le frontiere terrestri.
Il governo ha fatto finora il possibile per fronteggiare un’emergenza che ha colto il mondo di sorpresa e di cui l’Italia ha pagato le più immediate conseguenze. E la cecità dell’Europa davanti a questa crisi non sarà mai abbastanza biasimata. In queste condizioni la retorica dell’accoglienza e della solidarietà che la sinistra brandisce come un’arma, cercando di far passare il governo italiano come una disumano aguzzino gli occhi del mondo è criminale. Manovrando sui sensi di colpa in questo modo, per un misero calcolo politico, si rischia al contrario di sospingere il paese verso esiti xenofobi e razzisti che per natura non gli apparterrebbero.
L’idea che l’Italia sia il paria d’Europa in fatto d’immigrazione va smontata con decisione perché non è vera e perché è rischiosa. Basterebbe in realtà guardare meglio a quello che accade intorno a Lampedusa in questi giorni per sostituire la vergogna che si vorrebbe infliggere al paese con una buona dose di orgoglio. I neonati salvati in mare dagli elicotteri dell’esercito, le centinaia di minori non accompagnati arrivati sull’isola, accolti e già accuditi dai servizio sociali di decine di comuni siciliani e non solo, la solidarietà vera - perché costosa e personale - dei lampedusani verso gli immigrati.
Se poi si volesse una percezione più «scientifica» della performance nazionale in tema di immigrazione si può fare riferimento al Mipex, il Migrant integration policy index che ogni anno verifica le politiche di integrazione di 31 Paesi - tutti gli europei più Usa e Canada. Nei risultati resi noti nel 2011 l’Italia si colloca al decimo posto in termini generali, quindi nella parte alta della classifica e comunque meglio di altri 21 Paesi.

Mentre se si prende il solo criterio dell’accesso alla cittadinanza l’Italia raggiunge il 7° posto in classifica. Sono numeri che dovrebbero da soli smontare quell’immagine di un’Italia matrigna e ostile che domina nei talk show politicamente corretti e sui giornali del ceto medio riflessivo.

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