Cronaca locale

"Basta film in romanesco" Nella nuova Cinecittà si parlerà solo in milanese

Inaugurato il polo del cinema. Il leghista Castelli: "Non vogliamo più sentire in una fiction Papa Roncalli senza accento bergamasco". Bossi sogna un film sul frate che sconfisse gli Ottomani nel '600

Capiterà sempre più spesso, nei bar di viale Fulvio Testi, di imbattersi in qualche attore o in qualche regista famoso. Il quartiere è destinato a trasformarsi in una sorta di Cinecittà milanese. L’ex manifattura Tabacchi, ora cittadella del cinema, è pronta al suo primo «ciak» e ad ospitare set e produzioni televisive. Sarà la nuova sede della fondazione Cineteca italiana, del centro sperimentale di cinematografia, del Lombardia film commission. Diventerà, insomma, il nuovo polo del cinema milanese e lombardo. Alla faccia degli attori che parlano solo in romanesco, dei film ambientati solo a Roma e delle fiction in stile «Cesaroni».
«Nei film ambientati a Milano, si parli in milanese - sprona il vice ministro Roberto Castelli -: dà fastidio sentir parlare in romanesco anche personaggi lombardi come papa Giovanni XXIII». Anche il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, si augura che «la creatività dei registi valorizzi e racconti la Lombardia, con tutte le sue bellezze e le sue eccellenze». Lo stesso desiderio ce l’ha anche il senatùr Umberto Bossi, che già vede nei capannoni della cittadella il set per girare un film su Marco da Aviano, il frate che alla fine del Seicento fu incaricato dal Papa di organizzare l’esercito per sconfiggere gli ottomani. Dopo il film sul Barbarossa - che sarà proiettato in anteprima al Castello sforzesco e uscirà nelle sale il 2 ottobre - anche il secondo film di «matrice leghista» potrebbe essere girato dal regista Renzo Martinelli. «Dobbiamo raccontare la nostra storia - sostiene Bossi - Farla conoscere prima ai lombardi e poi al mondo, far capire che i milanesi di allora erano legati alla loro terra come i milanesi di oggi». Lo stampo lombardo alle produzioni cinematografiche suscita ovviamente le polemiche di politici e registi. «Il problema è fare bene il proprio mestiere - replica a Castelli Flavio Insinna, attore romano - in dialetto o in lingua poco importa». «Ancora una volta la Lega chiacchiera a vanvera» critica Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Pd a Palazzo Marino. Lingua e accento a parte, secondo il produttore Maurizio Dotti, che ha in lavorazione il film «Happy family» di Gabriele Salvatores, il problema da risolvere è una altro. «Milano - sostiene - deve superare alcuni handicap strutturali. Girare un film qui al momento è molto più costoso che girarlo a Roma». La nuova cittadella del cinema servirà anche a questo: ad abbattere i costi di produzione, a coltivare nuovi registi e nuovi talenti. Una «bottega di giovani artisti» insomma. Per dirla con le parole di Umberto Bossi, il polo del cinema sarà «la nuova Hollywood lombarda». E anche la gestione delle produzioni è destinata a cambiare: «È una pazzia - sostiene il ministro Giulio Tremonti - che il patrimonio lombardo sia gestito da un ufficio romano». Ed apre la strada al federalismo demaniale.

Il ministro Sandro Bondi assicura infatti pieno sostegno alle amministrazioni che lanceranno iniziative legate allo spettacolo, al cinema e alla cultura.

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