Ci sono state le elezioni e la coalizione di centro destra ha vinto. Io continuo a pormi la stessa domanda: che ne sarà ora della scuola, della qualità dell'insegnamento che ricevono i nostri figli?
Questo governo aderirà alla consuetudine di tutti i nuovi governi, ossia la distruzione della riforma precedente «a prescindere» da qualsiasi valutazione, o forse ci sarà qualche illuminato che capirà che anche la stabilità ogni tanto è utile ed allora forse è meglio cercare di salvare quanto c'è di positivo e non stravolgere sempre e comunque tutto?
Ho deciso di essere ottimista. Poco prima delle elezioni c'è stato un interessantissimo confronto tra Mariangela Bastico (viceministro all'Istruzione del governo Prodi) e Valentina Aprea (già sottosegretario al Miur del governo Berlusconi) sui programmi dei rispettivi schieramenti. Questa volta per fortuna è emersa la possibilità di una intesa per la scuola che, se pur con le immaginabili differenze, attraverso un «Patto per la scuola» tra le forze politiche, consenta al nuovo governo e a quelli che seguiranno, di mettere mano al problema senza l'acqua alla gola, con i tempi lunghi che questo richiede. Voglio crederci: il nuovo ministro avrà il coraggio di affrontare seriamente l'annoso problema che Panebianco nell'editoriale «De profundis sulla scuola» ha definito una rogna con altissimi costi politici e quasi nulli benefici.
Quello che è certo è che sicuramente ora i sindacati romperanno il colpevole silenzio e urleranno ai quattro venti quello che gli addetti ai lavori, gli insegnanti e chiunque si interessi di scuola, sapeva già da mesi: da settembre le classi saranno più numerose, il tempo pieno sarà fruibile solo da pochi eletti, le compresenze non esisteranno più, per non parlare degli insegnanti di sostegno! Si scoprirà anche che la sbandierata abolizione del precariato, tramite l'assunzione dei famosi 50.000 precari, non si è verificata nei termini promessi, e anzi, nella mia ignoranza, mi ha portato a chiedermi se sia un male minore essere precari o disoccupati. Comunque, ci saranno sicuramente proteste, manifestazioni, scioperi, forse blocchi degli scrutini e naturalmente tutto ricadrà sugli incolpevoli (almeno questa volta) studenti.
È stato ipotizzato come unico scossone capace di fare muovere il pachiderma scuola la nascita di una scuola privata di qualità che inneschi una competizione tra pubblico e privato, e costringa quindi il pubblico al miglioramento. Il mio timore più grande è che troppa parte delle risorse venga indirizzata verso le scuole parificate usando tale ipotesi come giustificazione. Io, ex liceale in scuole di preti, ho sempre voluto per i miei figli una scuola pubblica, che credo meglio rispecchi la società in cui, volenti o nolenti, li ho costretti a vivere. Credendo di avere diritto comunque a una scuola di qualità. Credendo ed attuando quel «patto educativo» che sta alla base di un buon risultato educativo. Credendo nel valore della diversità e nella libertà di ciascuno di professare la propria fede, di credere nei propri ideali e di vivere secondo i propri valori.
Ogni tanto però qualche dubbio sulla scelta della scuola mi sorge. Oggi aiutavo uno dei miei figli (5ª elementare) a fare il riassunto di un brano del suo sussidiario che parlava dell'antica biblioteca di Alessandria d'Egitto. A fondo pagina, in un riquadro chiamato pomposamente «filo diretto con la storia» leggiamo in grassetto testualmente... un terzo dei 700.000 volumi venne distrutto nel 47 a.C. da Cesare. Nel 392 d.C. i cristiani bruciarono i restanti due terzi. Premesso che le fonti sulla distruzione della biblioteca risultano essere incomplete e contraddittorie, mi sono comunque sentita in dovere di spiegargli che ci sono anche altre teorie che ascrivono tale distruzione a Aureliano 272 d.C. (che cristiano non era) a Teodosio 391 d.C.
Una volta erano i comunisti che mangiavano i bambini, i prossimi sono forse i cristiani?
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