Quando si dice l’ingratitudine umana. Molti ricordano ancora la delicata vicenda umana di Ingrid Betancourt, la politica colombiana sequestrata nel 2002 durante un’arroventata campagna elettorale per le presidenziali del suo Paese che la vedeva candidata per un partito ecologista. La donna finì nelle grinfie delle Farc, l’«esercito rivoluzionario» colombiano di estrema sinistra, che la tenne prigioniera nella giungla per sei anni in condizioni molto dure da sopportare. Solo nel luglio del 2008 fu possibile ottenere la liberazione sua e di altri 14 ostaggi: per strapparli ai guerriglieri fu necessario truccare dei commandos da membri di un’associazione umanitaria che si erano offerti volontari per trasferirli in elicottero in un’altra località. Perfino il presidente francese Nicolas Sarkozy (la Betancourt ha la doppia nazionalità) si era impegnato di persona per la sua salvezza.
Adesso arriva la sorpresa. A due anni di distanza dalla fine del suo incubo, Ingrid Betancourt ha deciso di citare per danni lo Stato colombiano: la donna lo considera responsabile del suo rapimento e chiede un risarcimento di oltre sei milioni e mezzo di dollari (circa cinque milioni di euro) per lo stress emotivo subito negli anni trascorsi in prigionia e per i mancati guadagni nello stesso periodo.
Non è stato possibile conoscere nel dettaglio le ragioni per cui Ingrid Betancourt ritiene che le sue personali sofferenze debbano essere messe in conto al suo Paese.
Va ricordato tra l’altro che nel 2002, quando la candidata alle presidenziali decise di spingersi in una regione rurale in cui si svolgevano combattimenti tra l’esercito colombiano e i guerriglieri, preferì ignorare l’invito che le fu rivolto dalla sicurezza nazionale a tenersene prudentemente lontana, visti i rischi per la sua persona che poi si rivelarono fin troppo reali. E comunque le autorità colombiane si impegnarono a fondo per la sua liberazione, lanciando con il sostegno americano un’operazione militare che ebbe come effetto collaterale quello di infliggere un colpo assai duro alla guerriglia di estrema sinistra, che finanziava le sue attività con i sequestri e il traffico di droga.
Quello che è certo è che la Betancourt, che oggi ha 48 anni, ha nei confronti del suo Paese un atteggiamento che appare piuttosto contraddittorio. In particolare, sebbene sia stata nominata in diverse occasioni come un possibile futuro candidato alla presidenza della Colombia, ha trascorso la maggior parte di questi due ultimi anni di riconquistata libertà all’estero, principalmente in Europa.
In compenso, partecipa sempre volentieri alle iniziative che ricordano la sua passata drammatica esperienza di prigioniera delle Farc: l’ultima che l’ha vista presente, presso l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale colombiana Bogotà, risale appena alla settimana scorsa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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