Roma

Battaglia chiama alla «guerra» delle farmacie

Antonella Aldrighetti

A tre mesi dall’abolizione del ticket sulle ricette, le misure di contenimento della spesa sanitaria varate dall’assessorato alla Sanità non sono servite a frenare l’impennata delle prescrizioni malgrado quel tetto di 15 euro mensili che, la giunta Marrazzo, aveva ritenuto giusto imporre a ogni assistito. Già, ma pure se i chiari di luna non sono dei migliori, l’assessore Augusto Battaglia non si perde d’animo e ci riprova. Ed ecco saltare fuori dal cilindro del Dipartimento sanitario regionale nuove e brillanti iniziative di compensazione contro il «dispendio» farmaceutico finalizzate a risparmiare per il solo anno corrente fino a 300milioni di euro. Una cifra cospicua che potrà essere raggiunta se le farmacie ospedaliere e i presidi territoriali delle singole Asl - questa la disposizione di Battaglia - riusciranno «a fare concorrenza» alle farmacie comunali e a quelle private presenti in tutta la regione. Almeno per quei farmaci circoscritti all’«assistenza integrativa» che risulta oltretutto anche la più costosa (dispositivi per diabetici, portatori di stomie, prodotti dietetici per patologie renali) e indirizzata ai pazienti più deboli. Certo è che i presidi e le farmacie ospedaliere non sono in numero così cospicuo da porsi sul mercato in regime di antagonismo, tutt’altro: al massimo ce ne sono 3 o 4 per Asl. E sull’onda delle certezze mancano all’appello un numero sufficiente di farmacisti, magazzinieri e dirigenti, da far funzionare a regime un qualsivoglia banco farmaceutico. Due requisiti essenziali per offrire ai cittadini - ed è il caso di ribadire più deboli - un servizio degno di essere utilizzato senza troppi affanni. Purtroppo però sembra che invece le afflizioni, per gli assistiti del Lazio, non si limiteranno alla logistica. Il quadro che si profila è tutt’altro che roseo per chi dovrà usufruire di quei presidi definiti pure farmaci salvavita, così che porsi qualche interrogativo diventa di rigore: allo stato dell’arte la distribuzione ospedaliera diretta non darà garanzie di funzionamento. Eccone alcuni: come potranno le farmacie ospedaliere e i presidi ottemperare ai carichi di lavoro richiesti se sono aperti al pubblico al massimo 12 ore alla settimana e quindi chiuse nei festivi? Come si riuscirà a superare la consegna dei farmaci a domicilio per quei pazienti che ne richiedono il servizio perché disabili? È vero che l’ospedale acquista farmaci al 50 per cento del costo al pubblico ma se dovesse conformarsi ai servizi offerti dalle farmacie private o comunali dovrebbe investire un altrettanto 50 per cento per gli «adeguamenti di mercato»: uno tra tutti evitare che i cittadini facciano file di ore per ottenere una scatola di medicinali. Per by-passare questo spinoso handicap l’assessorato alla sanità già a fine dicembre aveva fatto intendere che si sarebbe adoperato a stringere un congruo accordo con Federfarma Lazio per la cosiddetta «distribuzione per conto» ovvero delegare le farmacie a sopperire ai medicinali di assistenza integrativa previo riconoscimento di una piccola percentuale sul prezzo base.

Macché, di quell’accordo ancora non si sa nulla malgrado la stessa Fimmg regionale (Federazione medici di medicina generale) lo abbia già sollecitato per mettere fine alla disputa sugli sperperi farmaceutici.

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