da Roma
L’iniziativa della moratoria sull’aborto quale logica conseguenza di quella sulla pena capitale ha visto scendere in campo il cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa: «Si può sperare che da questa moratoria venga anche uno stimolo per l’Italia, quantomeno per applicare integralmente la legge sull’aborto che dice di essere legge che intende difendere la vita, quindi applicarla in quelle parti che davvero possono essere di difesa della vita e forse, a 30 anni ormai dalla legge aggiornarla al progresso scientifico che ad esempio ha fatto fare grandi passi avanti alla sopravvivenza dei bambini prematuri». Ieri il presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) ha detto che «una moratoria sull’aborto non può non trovare d’accordo chi è da sempre un convinto sostenitore della difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale», mentre Famiglia Cristiana, nell’editoriale del prossimo numero scrive che «l’impegno contro la pena di morte non è diverso da quello contro l’aborto e l’eutanasia, perché è impegno a favore della vita. Per i cattolici non è una novità, ma per tanti laici (o “laicisti”) sì, se non una sciocchezza».
La proposta di Ferrara sta dunque mietendo consensi nel mondo cattolico e nelle gerarchie ecclesiastiche, che peraltro vanno ripetendo da decenni la loro contrarietà all’aborto e lo scorso febbraio per la 30ª Giornata per la vita avevano intitolato il loro messaggio in questo modo: «La civiltà di un popolo si misura sulla sua capacità di servire la vita». Nessun imbarazzo, dunque, nell’aderire prontamente alla moratoria proposta da un laico attentissimo a quella «questione antropologica» sulla quale sia Papa Ratzinger che il cardinale Ruini hanno attirato e continuano ad attirare l’attenzione. Ma qualche distinguo, sì. Lo stesso cardinal Ruini, infatti, all’indomani del clamoroso risultato del referendum sulla fecondazione assistita, aveva detto che la Cei non intendeva proporre l’abolizione della 194 e due giorni fa ha ripetuto che un buon obiettivo sarebbe quello di applicarla nella sua completezza, anche in quella parte disattesa che dovrebbe difendere la vita e cercare di aiutare la maternità.
Chi ha letto gli interventi pronunciati dal cardinale Angelo Bagnasco, succeduto a Ruini alla presidenza della Cei nei primi mesi dell’anno appena concluso, si accorge che la priorità è data alla situazione della famiglia. I vescovi temono – e intendono contrastare – qualsiasi «deriva zapaterista» dell’Italia, vale a dire qualsiasi tentativo di introdurre le nozze gay o il «divorzio express». All’origine di questa preoccupazione non c’è soltanto una questione di valori e di principi. C’è una constatazione diretta sul territorio nazionale: grazie all’osservatorio privilegiato delle Caritas – che non ce la fanno più ad aiutare il numero sempre crescente di nuovi poveri – ci si è resi conto dell’aumento esponenziale del numero di persone in difficoltà perché uscite da un divorzio o da una separazione. L’aumento dei poveri, vera emergenza nazionale, è legato in modo consistente allo sfaldarsi del tessuto delle famiglie e alla mancanza di una rete di sostegno.
Per questo i vescovi continuano a richiedere politiche di reale sostegno alla famiglia.
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