nostro inviato a Torino
Il 2008, per Sergio Marchionne, sarà un anno delicato non soltanto a causa della crisi che attanaglia leconomia, limpennata dei prezzi delle materie prime e le difficoltà in cui si dibatte il mercato dellauto. Lad della Fiat, sempre più sbilanciato verso Basilea («gli impegni allUbs mi costeranno due ore di sonno in meno», è la battuta con cui ieri ha liquidato chi gli chiedeva lumi sulla sua agenda settimanale alla luce dei crescenti incarichi nel gruppo bancario svizzero), dovrà misurarsi con il nuovo governo, con i nuovi equilibri in Confindustria e con un sindacato sempre più arroccato sulle proprie posizioni. Non è un mistero, in proposito, latteggiamento fortemente critico di Marchionne nei confronti delle organizzazioni di categoria e, più in generale, del modo con cui negli anni hanno contribuito a rallentare il cammino del Paese verso una maggiore competitività. «In Italia domina il no, ma loperaio della Fiat non è quello che hanno in mente i sindacati; è necessario ridisegnare a 360 gradi le regole del gioco ricominciando da zero», avrebbe sbottato Marchionne in questi giorni, anche alla luce delle nuove tensioni affiorate a Pomigliano dove la protesta di 300, dei 5mila lavoratori, sta mettendo a rischio la continuità della fabbrica campana appena rimessa a nuovo. E la decisione di Marchionne di guardare al di là dellAdriatico per cercare nuovi sbocchi produttivi (la fabbrica serba della Zastava) e far fronte allo sviluppo del gruppo, è da interpretare come un primo vero segnale al governo e alle parti sociali dalla più importante azienda italiana. Nel mantenere limpegno preso nel 2004 e rinnovato più volte a non chiudere stabilimenti nel territorio, lad della Fiat fa però capire che in un Sistema-Paese così organizzato non è più possibile credere e investire. «La totale mancanza di flessibilità - ha più volte affermato Marchionne - non va bene e nei due anni che ci separano dal rinnovo degli accordi è dobbligo ridisegnare lintero modo di contrattazione, adeguando lItalia ai mercati internazionali. Solo quando unazienda estera arriverà qui, vorrà dire che le regole sono veramente cambiate».
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