«Tutto questo è incredibile. È enorme, è esagerato. Non sono una persona così importante. Sono uno delle migliaia di italiani militanti degli anni ’70. Sono uno delle centinaia di militanti che hanno chiesto rifugio al mondo intero. Perché tutto questo per me?». Comincia così l’intervista rilasciata da Cesare Battisti al periodico brasiliano «Istoe». T
Teme che il Brasile torni indietro, a causa della forte reazione dell'Italia?
«No. La decisione del ministro Tarso Genro è fondata. Ha analizzato tutti i documenti. Non è stata una lettura superficiale. La persecuzione è dimostrata nei documenti. Quello del ministro, che mi ha pure concesso lo status di rifugiato politico in Brasile, è stato un gesto di coraggio e di umanità. La decisione è molto importante non solo per me, Cesare Battisti, ma per l'umanità. Stiamo dando alla nazione italiana la possibilità di rileggere la propria storia con serenità, umanamente».
Lei ha mai ucciso qualcuno?
«Non ho mai ucciso. Non sono mai stato un militante armato in nessuna organizzazione, neanche nei Proletari armati per il comunismo a cui ho aderito per due anni, fra il 1976 e il 1978. Ho lasciato i Pac nel maggio 1978, dopo la morte di Aldo Moro. In quel periodo migliaia di militanti abbandonarono il movimento di lotta armata. È stato un momento di dibattito molto importante in Italia».
Se tornasse indietro, rifarebbe ciò che ha fatto?
«Non cambierei le mie idee, cambierei i mezzi per raggiungere i risultati. La lotta armata fu un errore, ora non credo si possa fare una rivoluzione con le armi. Io non ho mai sparato a nessuno, ma ho usato le armi in azione per finanziare le organizzazioni».
In che rapporti è con Alberto Torregiani?
«Quello che sta facendo è triste. Lui sa che non ho niente a che vedere con la morte di suo padre e il suo ferimento. Gli ho scritto molte lettere. Con rispetto e sincerità, una corrispondenza di amicizia. Ma Alberto Torregiani soffre la pressione del governo italiano perché lui, dopo tanti anni di battaglie, ha ottenuto una pensione come vittima del terrorismo. Dal 2004, ha una pensione come vittima degli anni di piombo in Italia. Stanno facendo pressioni perché gli possono togliere la pensione».
Perché ha contattato Alberto Torregiani?
«La situazione di Alberto mi ha sempre colpito. Era un adolescente ai tempi dell'attentato, ed è rimasto paralizzato».
E Pietro Mutti? Come giustifica le sue accuse, dopo anni di silenzio?
«Mutti ha ripetuto, parola per parola, in senso letterale, quello che gli ha detto di dire il procuratore Armando Spataro nel 1981. E, come altri “pentiti”, aveva parlato sotto tortura. Ora, non posso affermare che è stato resuscitato per una macchinazione del governo italiano. Ma una volta riapparso non poteva che riconfermare quanto gli avevano ordinato di dire. A quel tempo la tortura era un sistema quotidiano in Italia. L'Italia deve riconoscere questo. Ma non può. Poiché l'Italia è Europa. L'Italia non può ammettere che durante gli anni Settanta ha vissuto una guerra civile».
Ma era una democrazia, non una dittatura.
«Una democrazia con la mafia al potere. Abbiamo avuto un primo ministro per decenni in carica e poi condannato come mafioso. Sto parlando di Giulio Andreotti. E c'erano i fascisti, che non hanno mai abbandonato le posizioni di dominio. E che oggi, purtroppo, sono tornati».
La settimana scorsa, una donna identificata come sua ex fidanzata, Maria Cecília Barbeta, ha detto ai media italiani che le aveva confessato l’omicidio di un agente penitenziario.
«Maria Cecilia Barbeta, che non è mai stata una mia fidanzata, è un collaboratore di giustizia. Era quello che veniva definito un “collaboratore secondario”, doveva confermare alcuni dettagli per sostenere l'accusa». (...)
Com’è nata la sua adesione all’ultrasinistra?
«Sono figlio e nipote di comunisti. Essere comunista a quel tempo non era così facile. A scuola, quando ero bambino, ho avuto molti problemi per questo, la Chiesa cattolica non era molto tollerante con i comunisti».
Perché ha aspettato 16 anni per dire che non ha ucciso nessuno?
«Difendermi dalle accuse avrebbe provocato una breccia nella dottrina Mitterrand, che imponeva la stessa difesa per tutti. (...) Obbedivo a questa norma di comportamento. In nessuna delle fasi del processo ho rivendicato la mia innocenza. Ma ho redatto una documentazione sugli anni di piombo in Italia ed è questa la causa della vendetta dei politici italiani».
Perché è fuggito in Brasile?
«L’idea della mia fuga in Sud America è stata di un membro dei servizi segreti francesi. Nello studio dei miei avvocati francesi (l’agente dei servizi, ndr) mi disse che l’Italia stava facendo pressioni a causa delle denunce contenute nei miei libri. Mi parlò del Brasile, dove mi disse che si trovavano molti rifugiati italiani. Una settimana dopo mi mandò un’altra persona che mi consegnò un passaporto italiano con la mia foto e i miei dati. Così sono partito. Sono andato in auto dalla Francia alla Spagna e da lì in Portogallo. Una volta a Lisbona ho raggiunto in nave l’isola di Madeira e poi le Canarie. Quindi, in aereo, sono volato prima a Capo Verde e infine a Fortaleza, nel Nordest del Brasile».
Come vive la crisi tra Italia e Brasile?
«Con grande tensione. Ogni volta che ci penso non credo che stia succedendo a me. E poi una cosa mi sorprende: perché i media non si domandano il perché di questa reazione esagerata dell’Italia, di questo isterismo? Perché il presidente del Consiglio e i ministri italiani stanno reagendo in questo modo personale? Per me la pressione è enorme, mi sta lacerando. Al momento ricevo assistenza psichiatrica e sto prendendo un antidepressivo».
Come finirà questa vicenda?
«Credo che verrà confermato il mio status di rifugiato politico.
Crede che Carla Bruni si sia battuta per lei?
«È una bugia. Non penso che avesse ragioni per intervenire in mio favore».
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