Antonio Lodetti
da Milano
Il re torna sul palco, un po affaticato ma pronto per far vibrare le corde della sua Gibson in magici assolo stilizzati ed eleganti, nellimpennare la generosa voce tenorile minacciata qua e là dalle ombre delletà. È il consueto, vibrante rito pagano di B.B.King che si consumerà stasera al Palazzo Te di Mantova, ma stavolta si respira unaria diversa, quella dellultimo incontro con il mito. Dopo le date di Venezia, Napoli e Bari King lascerà per sempre lItalia e lEuropa. «Questo è il mio ultimo blues per il vostro Paese», annuncia presentando il Farewell Tour (tour daddio).
Ma dobbiamo crederle, lha già detto tante volte.
«Lo hanno detto altri per me, ma ora è vero. Non sono eterno, tra poco avrò 81 anni, il diabete mi minaccia. Il medico mi proibisce di prendere laereo. Viaggio col mio pullman personale, così quando voglio posso scendere. In aereo che faccio mi lancio col paracadute? Ma anche il pullman è massacrante; troppe ore per andare da Barcellona a Juan Le Pins».
Cosa farà ora?
«Continuerò a tenere concerti in America nei club e nei teatri. Non posso stare senza il palco ma neppure rischiare la vita».
Smetterà anche di incidere dischi?
«No, ne sto preparando uno cui tengo particolarmente, con molti ospiti ma diverso da 80 Years Album con cui ho festeggiato il compleanno con gli amici. Qui ci saranno molte star della black music assieme a Bono, Eric Clapton e Keith Richards».
Alcuni puristi sostengono che il suo blues sia troppo patinato.
«Nel 52 ho rinnovato il blues rielaborando Three OClock Blues di Lowell Fulson. Quello è il mio stile preferito e non lo cambierò mai. La gente non capisce che il blues è fatto di mille sfumature da Robert Johnson a Count Basie».
Ma lei è nato con il blues del Mississippi.
«Laggiù per un ragazzo nero cerano solo miseria e guai. Io ho cominciato cantando in chiesa, poi a 12-13 anni comprai una vecchia chitarra rossa per suonare agli angoli delle strade e guadagnare qualche dollaro. La chitarra elettrica era un sogno, non avevamo nemmeno lelettricità».
Il successo non lha cambiata?
«Sono sempre lo stesso, la radice blues non muore, ma si sviluppa con la società; un tempo era la musica degli schiavi, poi è diventata quella degli uomini veri, con lanima».
Cè una canzone o un album che porta nel cuore più di tutti?
«La mia canzone preferita è Always On My Mind di Willie Nelson. Lui è leroe del country ma mi identifico in questo brano che parla di donne e amore. Tra i miei dischi il preferito è My Kind Of Blues e tra i grandi ricordi metto i duetti con Bono e Pavarotti».
Chi è il suo erede al trono del blues?
«Per ora non lo vedo, ma ci sono un sacco di grandissimi artisti, sia bianchi che neri, che tengono viva la fiamma della tradizione blues.
E lei come si definisce?
«Un uomo che dal fango del Mississippi ha conquistato il mondo. Uno che ne ha passate di tutti i colori e per questo apprezza la pace, la bontà e odia la violenza e la droga».
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